• Vulnérabilité numérique et harcèlement en ligne des universitaires : une publication
    https://academia.hypotheses.org/55322

    Relayant le travail de veille universitaire du compte Twitter de La Rasbaille, Academia signale la parution dans la revue Feminist Media Studies d’un article scientifique intitulé “Digital vulnerabilities and online harassment of academics, consequences, and coping strategies. An exploratory analysis“ … Continuer la lecture →

  • Trieste. In #Via_Gioia uno spazio di accoglienza negato a due passi dal Silos

    Oggi l’edificio è stato aperto per mostrare l’assurdità di tenere questo spazio chiuso.

    Un’iniziativa che vuole denunciare una situazione paradossale e vergognosa. A poche centinaia di metri dal Silos, dove le persone vivono in condizioni inumane e degradanti, c’è un edificio caldo e asciutto, abbandonato da oltre 15 anni. Gli allacciamenti alle reti elettrica e idrica sono pronti all’uso, ci sono bagni e docce e decine di stanze. Gli spazi per accogliere a Trieste ci sono, basta volerlo.

    A Trieste, città di frontiera che non si riconosce tale, vogliamo mostrare che trovare uno spazio dove accogliere le persone migranti è possibile. Troppo spesso il destino delle centinaia di edifici abbandonati della città è stato ingrassare gli speculatori, non vogliamo che questo accada di nuovo.

    https://www.youtube.com/watch?v=MYfuRm6Duo8

    Conosciamo tutti, più o meno direttamente, le condizioni di vita di chi arriva dalla cosiddetta “rotta balcanica” e trova rifugio nel Silos, un edificio abbandonato a pochi passi dalla stazione centrale. Qui centinaia di persone resistono tenacemente tra fango, topi e rifiuti. Conosciamo anche l’ostilità delle istituzioni locali, regionali e nazionali verso queste persone, così come verso chi vive in strada.

    Negli ultimi cinque anni l’unica misura a sostegno delle persone senzatetto che frequentano Piazza Libertà è stata l’installazione di quattro bagni nelle vicinanze.

    Al contempo sono stati chiusi l’help center in stazione, un sottopasso dove molti trovavano riparo dalla pioggia e dal freddo e le aiuole circostanti la statua di Sissi. Anche il centro diurno di Via Udine è rimasto chiuso per due anni con il pretesto del Covid.
    Non sono però mancate le ronde di polizia, le identificazioni e le multe per bivacco date a persone in stato di necessità. Per noi è evidente che chi gestisce la città mette il decoro urbano davanti ai bisogni primari e ai diritti umani.

    https://www.youtube.com/watch?v=meQT7gz8630

    Nell’ottobre del 2022 il Comune ha annunciato l’apertura di un dormitorio da quasi 100 posti in via Flavio Gioia, un edificio contiguo al Silos.

    Una misura minima, che solo poche settimane dopo è stata scartata come risultato dei giochi di potere seguiti alla vittoria elettorale delle destre. È stata la dimostrazione che neanche un minimo di decenza ha più casa nella furia autoritaria di chi governa questa città.

    Trieste è stata così privata di uno spazio di accoglienza, mentre continua a contare centinaia di spazi abbandonati e inutilizzati. Noi lo spazio di Via Gioia lo abbiamo visto, ci siamo entrati e abbiamo verificato che, contrariamente al Silos, è caldo e asciutto, che non ci sono ratti e che gli allacciamenti alle reti elettrica e idrica sono pronti all’uso. Ci sono bagni e docce. Ci sono decine di stanze. Abbiamo fatto foto e video di questo luogo, stupidamente abbandonato da oltre quindici anni, per mostrare a tutti e tutte che, volendo, gli spazi per accogliere a Trieste ci sono.

    Riteniamo inaccettabile che un posto come questo rimanga chiuso, ancora di più trovandosi a pochi metri di distanza dalle rovine del Silos. Poco più in là, c’è un centro città che risucchia gran parte degli investimenti pubblici al fine di creare una vetrina più facilmente sfruttabile da chi controlla i business legati al turismo. Mentre avanzano i grandi piani della città gentrificata (il rifacimento in grande stile di Porto Vecchio, l’ovovia, i centri commerciali, le lucette e la grandeur…), c’è un problema evidente che, nonostante sia sotto gli occhi di tutti, la giunta e la prefettura decidono di trascurare.

    Davanti a tutto questo, chiediamo che:
    – venga aperto lo spazio di Via Gioia per dare riparo a chi ne ha bisogno nell’immediato;
    – anche il Comune e la Prefettura riconoscano il carattere di frontiera della città di Trieste e prendano iniziativa per evitare l’abbandono di persone in stato di necessità.

    Finisca questa vergogna, libertà di movimento e diritto all’abitare per tutte e tutti!

    https://www.meltingpot.org/2024/03/trieste-in-via-gioia-uno-spazio-di-accoglienza-negato-a-due-passi-dal-si

    #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #accueil #réfugiés #asile #migrations #Silos #hébergement #dortoir

  • Un rapporto sulla frontiera tra Lettonia, Russia e Bielorussia

    Il monitoraggio della ONG “I want to help refugees”

    A ottobre 2023 la ONG lettone Gribu palīdzēt bēgļiem (Voglio aiutare i rifugiati) 2, ha pubblicato un report sulla monitoraggio delle frontiere curato da Anna E. Griķe e Ieva Raubiško 3.

    Questa pubblicazione segue il report sulla visita effettuata in Lettonia dal 10 al 20 maggio del 2022 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), un dossier a cui il governo lettone ha replicato in modo ambiguo e fuorviante. L’ONG lettone ha così deciso di redigere un proprio report che contesta le affermazione governative.

    Il Rapporto del Comitato europeo, infatti, forniva 21 raccomandazioni in merito alla situazione di detenzione nei confronti delle persone migranti, mentre la risposta del governo lettone considerava 18 di queste come risolte e/o ingiustificate, per cui non dovrebbero essere prese ulteriori misure, e 3 raccomandazioni presentate insieme a una potenziale azione.

    Tra le raccomandazioni, il CPT ha indicato alle autorità lettoni di garantire che le persone migranti che arrivano nella zona di frontiera o che sono presenti nel Paese non siano rimpatriate con la forza in Bielorussia. E’, invece, doveroso effettuare uno screening individuale al fine di identificare le persone bisognose di protezione, valutare tali necessità e prendere le misure appropriate. Inoltre, è essenziale che i cittadini stranieri abbiano accesso a una procedura di asilo, o altra procedura di soggiorno, che preveda una valutazione del rischio di maltrattamento in caso di espulsione della persona interessata verso il Paese di origine o un Paese terzo, sulla base di un’analisi obiettiva e indipendente della situazione dei diritti umani in quegli Stati.

    Per le autorità lettoni, attualmente, la situazione nei territori amministrativi al confine tra Lettonia e Bielorussia è considerata come un’emergenza e «non consente il flusso incontrollato di persone che attraversano il confine di Stato in luoghi non previsti», e allo stesso tempo non limita il diritto delle persone ad accedere alla procedura di asilo, poiché «il diritto di presentare una domanda al valico di frontiera previsto dalla legge sull’asilo non è limitato».

    Tuttavia, le testimonianze delle persone respinte con la forza dal confine lettone verso la Bielorussia indicano che al confine non viene effettuato un esame adeguato (ad esempio, non vengono verificati i documenti d’identità: nazionalità, età e altri dati identificativi sono sconosciuti), in violazione del divieto di espulsione collettiva dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla CEDU (principio di non-refoulement). Ci sono stati casi in cui non solo le famiglie con bambini, ma anche i minori non accompagnati sono stati respinti. Inoltre, perfino il principio dell’unità familiare non sempre è rispettato.

    Altre testimonianze di persone che sono riuscite ad entrare in Lettonia e hanno presentato domanda di asilo per motivi umanitari, mostrano che né le autorità bielorusse né quelle lettoni permettono ai migranti di spostarsi verso i valichi di frontiera ufficiali, respingendo invece in Lettonia o in Bielorussia, nonostante la legislazione vigente preveda che le persone possano presentare domanda di asilo ai valichi di frontiera ufficiali (ce ne sono due a Pāternieki e Silene) e al Centro di detenzione per stranieri di Daugavpils.

    Per dissuadere le persone dall’attraversare la frontiera, le guardie ricorrono all’uso della forza fisica e mezzi speciali, nonché all’uso di cani da guardia. Il 29 agosto 2023, il governo ha ratificato gli emendamenti al “Regolamento sui tipi di mezzi speciali e sulla procedura per il loro utilizzo“, prevedendo oltre ai mezzi speciali già in uso – tra cui manganelli, taser, spray di gas cs, candelotti e granate fumogene, granate a gas, luminose e sonore – anche dispositivi sonori con effetti stordenti.

    L’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine è illegale e per questo il CPT ha raccomandato che le forze dell’ordine vengano informate a riguardo e ricevano una formazione pratica sull’uso proporzionato della forza per l’arresto di cittadini stranieri alla frontiera.

    Le autorità lettoni ribattono di non aver fatto ricorso alla forza fisica e a mezzi speciali contro le persone migranti in quanto non si sono verificati casi in cui queste non hanno obbedito agli ordini considerati legittimi delle guardie di frontiera: le persone, infatti, vengono informate che l’attraversamento del confine di Stato è illegale e che è prevista una responsabilità penale per il suo attraversamento e vengono invitate a non attraversare il confine di Stato o, di conseguenza, a tornare in Bielorussia. Nonostante sia consentito l’uso dei taser ai funzionari, attualmente non sono utilizzati per la sorveglianza delle frontiere a causa della loro carenza numerica, del loro breve periodo di autonomia e della necessità di utilizzarli per le esigenze di altri servizi dell’SBG 4.

    Tuttavia, la risposta del governo è in contraddizione con diverse testimonianze di persone migranti raccolte da “Voglio aiutare i rifugiati” nel 2022-2023, che hanno subito violenze emotive e fisiche, tra cui insulti e minacce, percosse e folgorazioni, sia durante i respingimenti che durante la permanenza nelle tende/basi dell’SBG in territorio lettone.

    Secondo queste testimonianze, gli abusi sono stati commessi il più delle volte da membri di unità speciali non identificate che indossavano maschere. Nel report si legge che «almeno quattro denunce sull’uso eccessivo della violenza sono state presentate all’Ufficio per la sicurezza interna e uno dei denuncianti si è rivolto alla Corte europea dei diritti umani».

    Per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati, il Comitato vorrebbe fosse adibita una struttura specifica, mentre il governo lettone afferma che sarebbe impossibile in quanto il numero dei minori è esiguo. Per l’associazione questa risposta è fuorviante: nonostante il basso numero solo alcuni minori non accompagnati vengono accolti in modo adeguato. Nel maggio 2023 Anna E. Griķe ha incontrato una ragazza di 13 anni dell’isola di Comore ospitata nel “centro di accoglienza” per richiedenti asilo “Mucenieki“, che offriva le stesse condizioni di alloggio degli adulti e che quindi non può essere considerato un istituto di assistenza all’infanzia. Tra il 4 e il 7 luglio la minore è scomparsa.

    Oltre a strutture specifiche adeguate per l’età dei richiedenti asilo, il CPT vorrebbe assicurare ai richiedenti asilo trattenuti nei centri di Daugavpils e Mucenieki attività come lezioni di lingua, di computer, percorsi formativi ecc. Il massimo sforzo dovrebbe essere dedicato soprattutto per garantire ai bambini in età scolastica attività educative adeguate.

    Il governo lettone ha risposto che all’SBG non compete la pianificazione delle attività del tempo libero, tuttavia collabora con le ONG lettoni, come l’associazione “Voglio aiutare i rifugiati” e la Croce Rossa che, per quanto possibile, assicurano l’organizzazione di varie attività ricreative, di socializzazione e integrazione, misure di sostegno psicologico e di istruzione.

    Nonostante ciò, il report afferma che da quanto osservato nel 2023 l’unica attività garantita dalla CR è stata fornire indumenti scadenti a entrambi i centri di detenzione e che solo nell’estate del 2023 l’associazione ha organizzato attività settimanali in entrambi i centri di detenzione per bambini e famiglie e a volte per adulti: un’iniziativa basata sulla buona volontà, non una soluzione sistemica.

    In ultima istanza, il report si occupa delle problematiche relative alle cure psichiatriche e all’assistenza psicologica nei centri di detenzione. Il CPT insiste che siano presi provvedimenti a riguardo insieme a un necessario servizio di interpretariato professionale. Le autorità lettoni dichiarano che in base alla proposta avanzata dall’Ong “Medici senza frontiere“, nel periodo compreso tra luglio e il 31 dicembre 2022, i loro rappresentanti hanno visitato regolarmente l’IDC (centro di detenzione per immigrati) di Daugavpils e di Mucenieki, fornendo assistenza psicologica agli stranieri detenuti e ai richiedenti asilo ospitati nell’IDC dell’SBG.

    Da quando Medici Senza Frontiere ha cessato la sua attività in Lettonia, nel dicembre 2022 5, non è più disponibile alcun supporto psicologico per le persone detenute. Inoltre nel 2013, l’SBG e la Croce Rossa Lettone hanno firmato un accordo di cooperazione, in base al quale quest’ultima si è impegnata a fornire per le persone accolte misure di sostegno psicologico ed educativo. Secondo “Voglio aiutare i rifugiati” la Croce Rossa non ha offerto assistenza psicologica presso gli IDC anche a causa della difficoltà di organizzare gli interpreti. Sebbene le ONG possano offrire un valido supporto psicologico ai richiedenti asilo e agli stranieri detenuti nei centri di detenzione, i loro servizi non possono essere considerati una sostituzione del supporto psicologico che lo Stato dovrebbe fornire.

    “Voglio aiutare i rifugiati” ha ripreso lo slogan “Nessuno è illegale” (Neviena persona nav nelegāla!) per cercare di sensibilizzare sulla situazione al confine: «Il termine “migrante irregolare” non solo è indesiderabile (ad esempio, si veda il Glossario sulle migrazioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni), ma denigra anche i diritti umani di qualsiasi migrante e non è in linea con i principi delle buone pratiche».

    La maggior parte delle persone giunte in Lettonia dalla Bielorussia sono richiedenti asilo: fino a quando non verrà presa una decisione sul loro status, da un punto di vista giuridico dovrebbero essere chiamati richiedenti asilo, nonostante abbiano attraversato il confine “illegalmente“. Da un punto di vista legale ed etico, un processo o un atto può essere etichettato come irregolare, ma non lo può essere una persona.
    Nessuna persona, infatti, è illegale!

    https://www.meltingpot.org/2024/03/un-rapporto-sulla-frontiera-tra-lettonia-russia-e-bielorussia

    #rapport #frontières #migrations #réfugiés #Gribu_palīdzēt_bēgļiem #Gribu_palidzet_begliem #Lettonie #Russie #Biélorussie #accès_aux_droits #droit_d'asile #expulsions_collectives #refoulements #push-backs #violence #violences #dispositifs_sonores #insultes #menaces #violences_psychologiques

    • BORDER MONITORING REPORT, LATVIA

      Background

      On 11 July 2023 both the “Report to the Latvian Government on the periodic visit to Latvia carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 10 to 20 May 2022” (here and after – Report) and the “Response of the Latvian Government to the report of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) on its periodic visit to Latvia from 10 to 20 May 2022” (here and after – Response) were published. The Report provides 21 recommendations in terms of Immigration detention; Response considers 18 recommendations as in progress and/or unjustified where no additional steps should be taken, and 3
      recommendations are presented along with a potential action plan.
      Ieva Raubiško has closely followed the situation of irregular migrants at the Latvian-Belarussian border since August 2021. In October 2022, she joined the NGO “I Want to Help Refugees” as an advocacy officer. In February 2023 Anna E. Griķe began to fulfil her duties as both border monitoring expert and coordinator of
      humanitarian aid for asylum seekers. Based on prior reports, observations, and individual cases, the following border monitoring report aims to highlight misleading information within the Response. It does not cover all recommendations/responses because of the insufficient data available regarding issues such as access to
      legal aid or to health care, but it is more focused on the everyday life in detention, especially, in regard to minors. The reference to both documents includes paragraphs and page numbers.

      Key Findings

      [1] Accommodation of unaccompanied minors

      Report, par. 30, p. 17: “The Committee recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that unaccompanied minors are accommodated in an open (or semi-open) specialised establishment for juveniles (for example, a social welfare/educational institution) where they can be provided with appropriate care and activities suitable for their age; the relevant legal provisions should be amended accordingly.”

      Response, p. 12: “There is no open (or semi-open) specialised establishment in Latvia intended specifically for a minor foreigner to be extradited or unaccompanied asylum seeker and it is not planned to create such an establishment, because the number of unaccompanied minors is small and it would not be feasible to open such an establishment. An unaccompanied minor, who is not detained, is accommodated in a child care institution based on the decision of the Orphan’s and Custody Court.”

      Indeed, the number of asylum seekers – unaccompanied minors is low, and there is no specialised establishment for their accommodation. However, the Response is misleading since only some unaccompanied minors are properly taken care of. In May 2023, Anna E. Griķe came across two of them, a 13-years old girl from Comoros island and a 14-years old boy from DRC. They both were accommodated in the Accommodation centre for asylum seekers “Mucenieki” provided the same accommodation conditions as adults (free of charge accommodation and allowance of 3 euros per day). It could be considered a childcare institution in any way, as it requires individuals to have complete autonomy in taking care of themselves on a daily basis. After the girl’s disappearance of between July 4 and 7 and ‘with serious concerns about the lack of action, relevant institutions as Ombudsman or State Police were informed about the situation.

      [2] Access to education and/or leisure activities for minors in IDCs [immigration detention center]

      Response, p. 12: “Minors accompanied by their parents are accommodated in the IDC, based on the parents’ application for accommodating children together with parents, and after evaluating the best interests of a child. Thus, children are not detained, but accommodated together with their parents, who are detained. In turn, detained unaccompanied minors are accommodated in the premises of the IDC premises, in which there is personnel and equipment to take the needs of their age into account. Minors accommodated in the premises of the IDC are provided with opportunities for acquiring education, engaging in leisure time activities, including games and recreational events corresponding to their age.” Even though there is a theoretical possibility for children from IDC to access education, it does not take place due to multiple factors. For instance, it takes one month to get the response from the Ministry of Education to be assigned to an educational institution, and as the detainees do not know the length of their detention and live in hope that it will not be lasting long, there is low interest to submit an application. Apart from a room with a limited number of toys, there are no specific opportunities considered for children/youth who experience the same limited access of movement within the detention centre as adults. For instance, outdoor space is not openly available. In the premises of the IDC, there is no opportunity for acquiring education; also, online learning is not possible due to the limited access to electronic devices which is restricted to just one hour per day. None of IDC’s personnel has the task to meet the education and or/leisure activity needs.

      [3] About access to purposeful activities for detainees

      Report, par. 35, p. 19: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to ensure that foreign nationals held at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres are offered a range of purposeful activities (for example, language classes, computer courses, crafts, etc.). The longer the period for which foreign nationals are detained, the more developed should be the activities which are offered to them. Further, every effort should be made to provide children of school age with suitable educational activities.”

      Response, p. 14-15: “The SBG ensures the security guarding of persons accommodated in the IDC, but does not get involved in planning their free time activities. Nevertheless, the SBG actively cooperates with Latvian NGOs, such as the association “I want to help refugees”, which, as far as possible, ensures the organisation of various leisure activities in the IDC of the SBG for both children and adults. […] In 2013, the SBG and the association “Latvian Red Cross” (hereinafter – LRC) signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions, as well as to provide the services of social work experts and other measures promoting socialisation and integration, including, if necessary, to organise Latvian language classes. Recommendations regarding the provision of purposeful activities (including the Latvian language classes) for foreigners in accommodation centres for asylum seekers, as well as regarding measures to reduce the language barrier between health care personnel and admitted foreign nationals, by providing translation/interpreting services, are to be supported.”

      In summer 2023, “I Want to Help Refugees” organized weekly activities in both detention centres for children and families, and – when possible, for adults, both men and women. It was based on good will, and in no terms could be perceived as a systemic solution. However, these activities created an opportunity to get a better insight of the everyday life in detention and was an attempt to meet individual or collective needs. These included provision of underwear, socks, basic footwear, additional clothing, spices for food, books, toys, and games.
      Prior to summer 2023 no regular activities were provided by any institution, NGOs or Latvian Red Cross (besides two unsuccessful episodes in December 2022 and April 2023 when a team of LRC did not manage establish contact with detainees to provide leisure time activities). From what has been observed during 2023, the sole outcome of the cooperation agreement with LRC is the provision of donated clothes to both IDCs. These are of very poor quality and do not include such basic items as underwear or socks. No psychological support, educational measures or other initiatives that would improve living conditions are being implemented in any of IDCs. Services of social work experts and other measures promoting socialization and integration, including Latvian language classes, are not provided either.

      [4] About access to outdoor exercise at the IDCs

      Report. par. 36, p. 20: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to increase significantly the daily outdoor exercise period for foreign nationals held at Daugavpils Immigration Detention Centre. In the Committee’s view, detained foreign nationals should, as a rule, have ready access to an outdoor area throughout the day.

      Response, p. 15: “According to Clause 21 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017, the daily schedule of the accommodation premises shall include daily walk time in fresh air (outdoor exercise) – for at least two hours. In turn, Clause 18 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017 provides that if a detained person refuses to exercise any rights (for example, outdoor exercise), an official of the accommodation premises may request to confirm it with a written submission. Given the structure of Daugavpils IDC and Mucenieki IDC, it is not possible to ensure free access of the detained persons to the outdoor area throughout the day.” “I Want to Help Refugees” has received complaints from a number detainees at both Daugavpils and Mucenieki Detention Centres about their restricted access to outdoor areas. While no clear-cut reasons for such restriction have been provided, these complaints also indicate a lack of clear procedure as to how the access to open-air areas should be requested by the detainees and why and how the time limit outdoor activities is determined (for example, why only one hour is granted for outdoor activities, not the two-hour minimum as prescribed in the Cabinet of Ministers Regulation No. 254, Internal Rules of Procedure of Accommodation Premises for Detained Foreigners and Asylum Seekers.) As a result, inhabitants of IDCs lose the possibility to be in fresh air for sufficient time each day or, on some days, are not able to spend time outdoors at all.

      [5] About the alleged ill-treatment of detained foreign nationals (irregular migrants) by Latvian special police forces between August 2021 and March 2022 in the border area.

      Report, par. 33, p. 18: “The CPT recommends that all law enforcement agencies concerned are given a clear and firm message on a regular basis that any use of excessive force is illegal and will be punished accordingly. Further, they should be provided with further practical training relating to the proportionate use of force, including control and restraint techniques, in the context of apprehending foreign nationals at the border. As regards more specifically the use of electrical discharge weapons, reference is made to the principles listed in paragraphs 65 to 84 of the 20th General Report on the CPT’s activities.23“

      Response, p. 13: “It has not been necessary to use physical force and special means against persons, because there have been no cases when they did not obey the lawful orders of the border guards. In order to prevent crossing or attempted crossing of the state border outside official border crossing points and procedures established for legal entry, persons are informed that crossing the state border is illegal and there is criminal liability prescribed for crossing it and are invited not to cross the state border or correspondingly invited to return to Belarus. Furthermore, at that moment persons also visually see armed border guards and national guards, and their preparedness for active response in preventing the possibilities of illegal crossing of the state border. Following such actions and the provision of information, persons, as a rule, do not risk approaching Latvia or, if they have already crossed the border, they return to Belarus. The enumeration of special means of the SBG contains electric shock devices, which the officials, based on Cabinet of Ministers Regulation No.55 of 18 January 2011, are entitled to use for fulfilment of the functions assigned to them. There are no electric shock devices of any kind (including TASER) currently used for border surveillance due to the numerical shortage thereof, expiry of their useful life and the necessity to use them for the needs of other SBG services (immigration control, border inspections).”

      The government’s response contradicts several testimonies of irregular border-crossers recorded by “I Want to Help Refugees” in 2022–2023 on having experienced emotional and physical violence, including cursing and threats, beatings, and electrocution both during the pushbacks and while in tents/ SBG bases in the Latvian territory. According to these testimonies, abuse was most often committed by members of unidentified special units wearing masks. At least four complaints on the excessive use of violence have been submitted to the Internal Security Bureau, and one of the complainants has turned to the European Court of Human Rights.

      [6] About the lack of psychological assistance to the detainees at the IDCs.

      Report, par. 44, p. 57: “The CPT recommends that steps be taken at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres to ensure adequate access to psychiatric care and psychological assistance for foreign nationals, combined with the provision of professional interpretation.”

      Response, p. 18-19: “Based on the proposal made by the international non-governmental organisation “Doctors without Borders”, during the period from July to 31 December 2022, the representatives of the international non-governmental organisation “Doctors without Borders” have been regularly visiting Daugavpils IDC and Mucenieki IDC and providing psychological support to the detained foreigners and asylum seekers accommodated in the IDC of the SBG.

      By means of the funds raised via the project from the Asylum, Migration and Integration Fund, in order to reduce the everyday psychological sufferings or struggles of the target group, it is planned to attract psychologists and cover expenses for psychologist services for the foreigners accommodated in the centres.

      Additionally, as already mentioned herein above, in 2013, the SBG and the LRC signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC of the SBG, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions of the referred to persons…”

      While NGOs might offer valuable psychological support to asylum seekers and detained foreigners at the IDCs, their services cannot be considered a viable alternative and substitution of state-provided in-house psychological support. Since December 2022 when “Doctors without Borders” ceased its operation in Latvia, no psychological support has been available to the detainees. LRC has not been able to offer any psychological assistance at the IDCs, citing the difficulty of arranging interpreters as one of the main challenges.

      [7] About the forcible return of irregular migrants from Latvia to Belarus

      Report, par. 48, p. 57: “… the CPT recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that irregular migrants arriving at the border or present in the territory of Latvia are not forcibly returned to Belarus prior to an individualised screening with a view to identifying persons in need of protection, assessing those needs and taking appropriate action. Further, it is essential that foreign nationals have effective access to an asylum procedure (or other residence procedure) which involves an individual assessment of the risk of ill-treatment in case of expulsion of the person concerned to the country of origin or a third country, on the basis of an objective and independent analysis of the human rights situation in the countries concerned.38 The CPT considers that the relevant provisions of the Cabinet of Ministers’ Decree No. 518 on the Declaration of a State of Emergency should be revised accordingly.”

      Response, p. 19: “Currently, the emergency situation in the administrative territories at the Latvia- Belarus border does not allow the uncontrolled flow of people across the state border in places not intended for this, and at the same time does not limit the right of persons to access the asylum procedure, because the right to lodge an application at the border crossing point provided for by the Asylum Law is not restricted. The referred to regulation was based on the internationally recognised right of countries to control the border of their country and to prevent the illegal crossing thereof (see the judgment of the ECHR of 13 February 2020 in the case of ND and NT v. Spain and the judgment of the ECHR of 5 April 2022 in the case A.A. and others v. North Macedonia).”

      Testimonies of irregular migrants forcibly returned from Latvia/ Latvian border to the territory of Belarus indicate that no proper screening of persons is performed at the border. There have been cases when not only families with children, but also unaccompanied minors have been pushed back.
      Testimonies of irregular migrants allowed to enter Latvia on humanitarian grounds and submit their claims for asylum, show that neither the Belarussian nor the Latvian authorities allow the migrants to move to the official border crossing points, instead pushing them back to either Belarus or Latvia.

      Recommendations and Action Points

      Clarify the statements in the Response with authorities in question.
      Create an action plan that identifies the gaps in the treatment of detainees in detention centres and explores for possible solutions.
      Establish an obligation and a clear procedure for a prompt investigation of all claims of violence voiced by irregular migrants and detained asylum seekers.
      Ensure presence of a psychologist/psychotherapist at both IDCs to provide psychological help to the detained when necessary (also, ensure that the regular medical staff is present).
      Ensure the possibility for detainees to spend sufficient time outdoors each day.
      Ensure transparent evaluation of migrants’ individual circumstances upon their arrival at the border; share the assessment guidelines with independent monitoring bodies and NGOs.

      https://gribupalidzetbegliem.lv/en/2023/10/01/border-monitoring-report-latvia

  • Sur les traces des « retournés volontaires » de #Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur

    Le ministère de l’intérieur français finance en Géorgie des projets de #réinsertion économique auprès de familles souvent venues en France pour des #soins médicaux, avant qu’elles se retrouvent en situation irrégulière.

    C’est un bloc d’immeubles parmi les centaines qui composent le paysage de #Roustavi, une ancienne ville industrielle du sud-est de la Géorgie. Dans ce pays du Caucase où vivent 3,7 millions d’habitants, les cités ouvrières ont poussé pendant l’ère soviétique, et Roustavi a pris son essor autour d’un combinat métallurgique alimenté par l’acier azerbaïdjanais. Depuis, l’URSS s’est disloquée et les usines ont fermé. Voilà une dizaine d’années, attirés par un parc immobilier plus abordable que celui de la capitale, Tbilissi, Davit Gamkhuashvili et Nana Chkhitunidze sont devenus propriétaires d’un des appartements de la ville, au septième et dernier étage d’un immeuble que le temps n’a pas flatté. Le parpaing des façades se délabre, des tiges de fer oxydé crèvent le béton des escaliers et l’ascenseur se hisse aux étages dans un drôle de fracas métallique.

    Fin septembre 2023, Davit, 47 ans, et Nana, 46 ans, sont revenus ici après dix mois passés à Béthune, dans le Pas-de-Calais. Ils ont retrouvé leur trois-pièces propret et modeste, où ils cohabitent avec leur fils et leur fille adultes, leur gendre et leur petite-fille. Le couple de Géorgiens avait nourri l’espoir d’obtenir en France les soins que Davit, atteint d’un diabète sévère, ne trouvait pas dans son pays. Migrer, c’était sa seule option après qu’il a été amputé d’un orteil. Il souffrait d’un ulcère au pied et son médecin géorgien « ne proposait rien d’autre que couper et couper encore », se souvient-il.

    (#paywall)

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/01/immigration-sur-les-traces-des-retournes-volontaires-de-georgie_6219437_3224

    #renvois #expulsions #retours_volontaires #déboutés #asile #migrations #réfugiés #France #santé
    via @karine4

    • Pour venir en France et laisser à leurs enfants un peu d’argent, sa femme et lui ont vendu leur voiture et un terrain qu’ils possédaient à la campagne. Dans le Pas-de-Calais, le couple a été hébergé dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (CADA), et Davit a pu se faire soigner. Mais l’isolement social, la barrière de la langue, le sentiment d’être des « mendiants » leur ont donné le « mal du pays ». Déboutés de leur demande d’asile, Davit et Nana se sont retrouvés en situation irrégulière et ont été priés de partir. Las, ils ont renoncé à la France dans la douleur. A Roustavi, Nana replonge avec un soupçon de nostalgie dans le souvenir des amitiés qu’elle a nouées avec des bénévoles du CADA, des plats géorgiens qu’elle leur a fait découvrir, comme le khatchapouri, un pain farci au fromage, de la petite fête qui avait été organisée pour leur départ. « Quand j’aurai l’argent, je reviendrai comme touriste », nous assure-t-elle.

      Dans le français rudimentaire qu’elle s’est efforcée d’acquérir, Nana répétait « stop », « fini », « stress » alors que nous la rencontrions, dans les couloirs de l’aéroport de Roissy-Charles-de-Gaulle, le jour de son vol retour vers la Géorgie. Ce matin de septembre 2023, ils étaient une cinquantaine, comme elle, à devoir embarquer pour Tbilissi dans le cadre d’un retour volontaire aidé, un dispositif adressé aux étrangers en situation irrégulière et mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration (#OFII). Il a l’avantage d’être beaucoup moins onéreux que les retours forcés, qui mobilisent des moyens importants, de l’interpellation des personnes à leur expulsion, en passant par leur placement en rétention et la phase éventuelle de contentieux juridique. En 2023, plus de 6 830 personnes ont souscrit à des retours volontaires aidés, toutes nationalités confondues. Avec plus de 1 600 retours aidés, les Géorgiens ont été les premiers bénéficiaires du programme.

      Encourager les départs

      Juste avant d’embarquer, au milieu des touristes et des voyageurs d’affaires du terminal 2 de Roissy, Nana et Davit avaient reçu chacun, des agents de l’OFII, une petite enveloppe contenant 300 euros. Leurs billets d’avion avaient également été pris en charge. Pour encourager les départs, la France propose aussi aux personnes volontaires une aide sociale, le financement d’une formation ou encore une aide à la création d’entreprise, plafonnée à 3 000 euros en Géorgie. Avec 605 aides accordées en 2023, les Géorgiens sont, là aussi, les premiers récipiendaires de ce programme de réinsertion économique.

      Nana Chkhitunidze a obtenu la prise en charge d’une formation en cuisine, qu’elle suit aujourd’hui avec enthousiasme après ses heures de ménage. A son retour à Roustavi, elle a dû retrouver un emploi pour entretenir sa famille. Elle gagne aujourd’hui 600 laris (210 euros) par mois. Pas de quoi payer les consultations chez le diabétologue ni chez le cardiologue que les médecins français ont recommandées à Davit. « Ce n’est pas la priorité, confie ce dernier. Les anciens disaient : “La vie, c’est comme à la guerre.” Je ne me rendais pas compte à quel point c’était vrai. »

      Diminué physiquement, Davit Gamkhuashvili ne peut plus travailler dans le bâtiment. Il est fier de rappeler qu’il a, par le passé, rénové plusieurs églises du pays, dont la grande cathédrale de la Sainte-Trinité, à Tbilissi. Mais, depuis son amputation, ce n’est désormais plus envisageable. Il se pique trois fois par jour à l’insuline et veille à ce que l’ulcère au pied ne reprenne pas. Il lui reste des boîtes d’antalgiques prescrits en France. Ici, ils ne sont pas pris en charge. L’OFII lui a financé vingt séances de kinésithérapie, à hauteur de 2 100 laris.

      Avant d’embarquer pour le vol vers Tbilissi du 20 septembre, Nini Jibladze et Khvtiso Beridze, un autre couple de « retournés » géorgiens, confiaient, eux, combien ils souhaitaient que l’aînée de leurs deux filles, Anastasia, puisse étudier en France. Scolarisée entre 2021 et 2023 dans une école près de Caen, leur enfant de 10 ans a très vite appris à parler le français. Mais, si le départ était un crève-cœur pour leurs parents, Anastasia et sa sœur Nia, 5 ans, se montraient impatientes de retrouver leur grand-mère Irma, après deux années passées loin d’elle.

      Une petite tour Eiffel sur le piano du salon

      Nini et Khvtiso avaient quitté la Géorgie car ils ne faisaient pas confiance aux médecins pour faire opérer leur aînée, atteinte d’une tumeur au niveau du nerf de la main. En Turquie, l’opération leur aurait coûté 15 000 dollars (14 000 euros), une somme dont ils ne disposent pas. En France, Anastasia a été opérée gratuitement. Ses parents se seraient volontiers projetés sur une installation plus durable, mais « pas de papiers, pas d’argent », résume le père de famille. Avec une obligation de quitter le territoire français (OQTF) à la suite du rejet de leur demande d’asile, ils redoutaient de se retrouver à la rue.

      Aujourd’hui revenue dans l’appartement familial, dans la banlieue de Tbilissi, que balaye ce jour-là un vent d’hiver vigoureux, Anastasia se plonge dans des vidéos YouTube en français, pour ne pas perdre la langue. Ses parents ont posé une petite tour Eiffel sur le piano du salon, entre deux coupes de fruits en porcelaine, reçues en cadeau de mariage. Depuis qu’il est rentré au pays, le couple est pris dans un entrelacs de sentiments où l’amertume et l’angoisse le disputent à l’espoir.

      Grâce à l’aide de l’OFII, Nini Jibladze a suivi une formation en manucure, un secteur porteur dans son pays. Elle a même pu s’acheter quelques équipements, comme un sèche-ongles et un stérilisateur, mais, plutôt que de lancer son affaire, elle a dû parer à l’urgence et accepter un poste de commerciale pour une société de vente de chocolats, payé 1 000 laris par mois. Khvtiso Beridze, lui, se plaint de ses douleurs au bras, résultat de deux accidents anciens qui ont abîmé ses nerfs. En France, il a été opéré deux fois, mais il faudrait qu’il subisse une nouvelle intervention. « J’ai peur de me faire opérer ici, reconnaît-il. Et je n’ai pas les moyens de me payer la rééducation à 40 laris la séance. »

      Anastasia, elle, doit continuer d’être suivie, mais trouver un angiologue ou un radiologue pédiatrique pour réaliser une IRM à 700 laris relève de la gageure. En outre, la famille a encore une dette de plus de 6 000 euros à rembourser, contractée pour financer son départ en France, à l’automne 2021. « Ma sœur, qui est propriétaire de l’appartement où l’on vit, a dû prendre un prêt hypothécaire », relate Khvtiso. Fataliste, il lâche : « Tôt ou tard, on devra repartir. »

      Discours politique virulent

      Sa mère, Irma, avec laquelle le couple cohabite, compte les devancer. Elle s’y prépare sans états d’âme. « Dans notre immeuble, toutes les femmes ont migré, assure cette célibataire de 52 ans. Si quelqu’un en #Géorgie se nourrit et s’habille correctement, c’est qu’il a quelqu’un à l’étranger qui lui envoie de l’argent. » Elle-même a déjà travaillé à Samsun, en Turquie, il y a quinze ans. « Je partais trois mois faire la plonge ou le ménage et je revenais, se souvient-elle. Ça valait le coup. A l’époque, on avait 100 dollars avec 120 livres turques. Aujourd’hui, ce n’est plus intéressant, il faut 3 000 livres turques pour 100 dollars. » Si Irma repart, ce sera en Grèce. Elle y a des amies qui promettent de l’aider à trouver un travail d’aide à domicile ou de femme de ménage pour au moins 1 000 euros par mois. « Ça pourra payer les dettes et les études des enfants », calcule la grand-mère.

      Depuis l’effondrement du bloc soviétique, la migration géorgienne vers l’Europe n’a cessé de croître. « C’est un phénomène très commun, qui a connu un pic avec la libéralisation des visas en 2017 », souligne Sanja Celebic Lukovac, cheffe de mission à Tbilissi de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), une agence onusienne. Cette « libéralisation » autorise les Géorgiens à circuler comme touristes dans l’espace Schengen pendant quatre-vingt-dix jours sans visa. « La Grèce accueille probablement la plus importante diaspora, mais de nombreux Géorgiens sont aussi allés en France, en Italie, en Allemagne, en Suisse ou en Espagne, guidés surtout par des opportunités d’emploi », poursuit Sanja Celebic Lukovac.

      D’abord très temporaire et individuelle, la migration est devenue plus durable et familiale. Les besoins médicaux sont, en outre, souvent au cœur du projet de mobilité. En France, en 2023, les Géorgiens ont ainsi représenté 7 % des demandes de titres de séjour pour étranger malade (dont un tiers pour des cancers). Parfois, ces besoins sont dissimulés derrière des demandes d’asile, l’un des rares moyens, si ce n’est le seul, de faire durer un séjour en règle, le temps de l’instruction du dossier.

      En 2022, selon Eurostat, plus de 28 000 Géorgiens ont déposé une demande d’asile en Europe, dont près de 10 000 en France. Cela reste faible, en comparaison avec la population du continent ou avec le volume total des demandes d’asile enregistrées dans l’Union européenne, qui a dépassé 955 000 requêtes la même année. Mais, l’octroi d’une protection internationale aux Géorgiens étant très rare – environ 4 % des demandes d’asile géorgiennes en Europe connaissent une issue positive –, cette migration ne manque pas d’alimenter un discours politique virulent.

      Emmanuel Macron a dénoncé plusieurs fois le « détournement du droit d’asile », des propos qui visent notamment les flux en provenance de Géorgie. Les pouvoirs publics ont tenté de les réduire, au travers de textes de loi ou de mesures réglementaires. Ainsi, la loi « immigration » de 2018 a permis l’expulsion des déboutés de l’asile provenant de pays d’origine « sûrs », nonobstant un éventuel recours.

      Risque d’appauvrissement

      En mai 2019, le ministre de l’intérieur de l’époque, Christophe Castaner, s’était déplacé à Tbilissi pour fustiger l’« anomalie » de la demande d’asile géorgienne et la « dette médicale » générée par ceux « qui viennent se faire soigner en France », alors même que l’état du système de soins en Géorgie « ne justifie pas cette venue ». Fin 2019, la lutte contre le « tourisme médical » avait encore occupé une place importante dans le débat sur l’immigration organisé au Parlement par Edouard Philippe, alors premier ministre. Il avait débouché sur une série de mesures imposant notamment un délai de carence de trois mois pour accéder à la protection maladie pour les demandeurs d’asile et la limitation de la durée de cette protection à six mois pour ceux qui sont déboutés de leur demande.

      « On identifie un ensemble de raisons qui incitent les gens à investir dans la migration, analyse Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM. L’absence ou le manque d’accès aux traitements, le manque de confiance dans les soins et leur coût. » En Géorgie, où l’espérance de vie moyenne n’atteint pas 74 ans et où 15,6 % de la population vit sous le seuil de pauvreté, le système de soins pâtit notamment d’une faible prise en charge du handicap et des médicaments, ce qui expose les ménages à un risque d’appauvrissement.

      Si Zhaneta Gagiladze avait fait opérer sa fille, atteinte d’une forme grave de scoliose, en Géorgie, cela lui aurait coûté 23 000 euros. « Et seulement 40 % de la somme aurait été prise en charge », explique cette femme de 44 ans. En outre, ajoute-t-elle, le chirurgien géorgien lui avait conseillé d’annuler l’intervention, faute d’implants disponibles dans le pays et de garantie de succès. A Lyon, l’adolescente a pu être soignée, tandis que sa mère avait trouvé une chambre dans une colocation avec des Géorgiens, pour 200 euros par mois. Leur séjour n’a pas dépassé huit mois.

      En bénéficiant d’un retour aidé, fin 2019, grâce à l’OFII, Zhaneta Gagiladze a pu relancer son activité de coiffeuse dans un petit garage qu’elle loue à Tbilissi, au pied d’une khrouchtchevka, ces immeubles de trois à cinq étages emblématiques de l’architecture soviétique de l’après-guerre, qui privilégiait la rapidité et le moindre coût. Elle a aussi pu racheter pour 3 000 euros de matériel. Et propose à une clientèle d’habitués une coupe ou une coiffure pour 15 laris.

      Une étude réalisée en 2019 par le cabinet Evalua pour l’OFII, sur un échantillon de près de 400 bénéficiaires d’aide à la création d’entreprise dans quatorze pays, dont la Géorgie mais aussi la Côte d’Ivoire ou le Mali, montrait que, trois ans après avoir quitté la France, 82 % des « retournés » ayant bénéficié de l’aide – qui peut atteindre 6 300 euros dans certains endroits – se trouvaient toujours dans leur pays. En outre, 51 % des projets financés étaient encore actifs.

      Miraculés et déçus

      Zhaneta Gagiladze aime « beaucoup » son métier de coiffeuse. Elle mène sa vie avec énergie et ambition. C’est d’ailleurs pour cela qu’elle veut repartir. Seule et en Israël, cette fois, où elle espère pouvoir gagner 4 000 dollars par mois comme femme de ménage. A deux reprises déjà, en 2023, elle a tenté de s’y rendre. Mais, à chaque fois, elle a été refoulée à l’aéroport de Tel-Aviv. Elle attend désormais d’avoir économisé suffisamment pour pouvoir s’acquitter des 6 000 dollars qui lui garantiront d’entrer sur le territoire, avant d’y demeurer clandestinement.

      Elle a du mal à comprendre qu’Israël ne donne pas de visa malgré ses besoins de main-d’œuvre. « Mon projet est juste d’y travailler deux ans, pour gagner de quoi acheter un appartement ici », dit-elle. Elle rêve aussi « d’aider [sa] fille à accomplir son rêve de retourner étudier en France », un pays qu’elle associe à une vie meilleure. « En France, elle a même été suivie par un psychologue, alors que, depuis notre retour, elle a fait une dépression », confie Zhaneta, qui répète à quel point elle est « reconnaissante » vis-à-vis de la France. A Lyon, elle a croisé des compatriotes miraculés. L’un a pu être guéri d’un cancer en Géorgie. Un autre, atteint d’une cirrhose et à qui l’on ne donnait pas un mois à vivre, a pu bénéficier d’une greffe de foie.

      Mais il y a aussi les déçus. Comme Natela Shamoyan, 58 ans, hébergée par le 115 en banlieue parisienne de 2019 à 2022 avec sa fille lourdement handicapée, pour qu’on lui dise finalement la même chose que dans son pays : il n’y a pas de traitement qui guérisse la maladie de Charcot. Grâce à l’argent de l’OFII, à son retour en Géorgie, elle a relancé dans son garage, et avec son fils de 35 ans, une petite activité de fabrication de tapis de voiture.

      Zurab Dalakishvili, 36 ans, n’a pas non plus trouvé en France le traitement contre l’infertilité qui lui aurait permis de fonder une famille avec sa femme. Après quelques mois passés près de Rennes, sous le coup d’une OQTF, ils ont préféré rentrer au pays. Avec l’aide de l’OFII, Zurab a pu acheter des équipements pour développer son activité de mécanicien automobile, interrompue pendant son séjour en France. Son métier le passionne et l’amène à multiplier les allers-retours en Allemagne pour rapporter des moteurs ou des voitures d’occasion, qu’il retape puis revend. Le secteur de l’occasion est florissant en Géorgie, où 90 % du parc automobile a plus de dix ans.

      Installé dans la région de Gardabani, une zone rurale au sud-est de Tbilissi, Zurab Dalakishvili montre avec fierté le pont élévateur dont il a fait l’acquisition grâce à l’aide de la France. « J’ai aussi pu construire et aménager un hangar plus grand », explique-t-il. Sur le petit terrain qu’il transforme progressivement, où il stocke voitures et matériel, on découvre aussi les fondations inachevées d’une maison. Depuis qu’ils sont rentrés de France, en janvier 2020, Zurab et sa femme suivent un protocole de procréation médicalement assistée qui leur a déjà coûté près de 100 000 laris, et pour lequel ils ont dû repousser la construction de leur maison. En attendant, ils se serrent dans une pièce attenante aux hangars.

      Resserrement des critères

      De son côté, ce ne sont pas les trois vaches laitières qu’il a pu acheter grâce aux 3 000 euros de l’OFII, ni son activité de taxi qui lui rapporte 40 laris par jour qui permettront à Giorgi Maraneli de payer l’opération des ligaments de la cheville dont son fils aurait besoin. Il est, depuis la naissance, atteint de paralysie cérébrale avec quadriplégie spastique. « Je regrette d’être revenu, lâche le père de famille de 36 ans. Je n’avais pas le choix, je ne pouvais pas prendre le risque que nous finissions dans la rue. » Déboutés de leur demande d’asile, Giorgi, sa femme et leurs deux enfants étaient pressés par les gestionnaires du CADA de Bailleul, dans le Nord, de quitter les lieux.

      La maison où ils se sont réinstallés en 2023 se trouve dans un village de deux cents familles près de Gori, la ville natale de Joseph Staline. Dans la principale pièce à vivre, où dorment les parents de Giorgi et l’un de ses frères, un vieux portrait du Petit Père des peuples orne un mur. Comme si le temps était suspendu. A 2 kilomètres à peine d’ici se trouve la frontière avec le territoire occupé d’Ossétie du Sud. La population locale continue de subir les conséquences de la guerre de 2008 avec la Russie. L’eau courante, qui venait d’Ossétie, a été coupée par les occupants russes. Impossible d’irriguer une quelconque culture, la famille doit utiliser un puits pour sa consommation. Le père de Giorgi, Tamaz, s’est même fait voler ses quelques moutons par des militaires russes. « On ne peut pas envoyer les vaches en pâturage vers la frontière, ni couper du bois », regrette Giorgi.

      Pour l’heure, les animaux sont gardés dans l’étable et nourris au foin. C’est l’hiver, les plaines environnantes sont recouvertes d’un épais manteau de neige. Il est tombé une telle quantité de poudreuse la veille que l’électricité est coupée dans la maison, en cette journée de février. Assis devant le poêle à bois, Giorgi a sorti ses médailles militaires, lui qui a été pendant treize ans dans l’armée et a servi en Afghanistan. Sur la toile cirée de la table à manger, il a ouvert le dossier médical de son fils de 5 ans. « Quand on est partis, début 2021, la Géorgie ne proposait aucune forme de prise en charge. Je m’étais renseigné sur Internet, il y avait des groupes sur Facebook qui conseillaient d’aller en France pour les soins », témoigne-t-il. Il a été hébergé un an et demi. Ça lui a fait drôle, confie-t-il, de côtoyer des Afghans dans le CADA, alors qu’il les avait rangés dans la catégorie ennemie pendant ses missions aux côtés de l’OTAN, à Bagram.

      Giorgi Maraneli garde néanmoins un bon souvenir de la France. Son fils avait pu être soulagé et la prise en charge était gratuite et de qualité. Aujourd’hui, il a l’impression d’être revenu à la case départ. Les projets financés dans le cadre des retours aidés ne fournissent souvent que des revenus d’appoint. Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM, a constaté qu’avec le temps les « retournés » d’Europe reçoivent de moins en moins d’aide pour leur réinsertion. « Cela signifie qu’il y a de plus en plus de gens dans le besoin », prévient-elle.

      En France, un arrêté ministériel d’octobre 2023 a resserré les critères d’éligibilité aux retours aidés, prévoyant une dégressivité de l’aide dans le temps à partir de la notification de l’OQTF. Mécaniquement, sur les premières semaines de 2024, les demandes de Géorgiens auprès de l’OFII ont baissé, car ils sont moins nombreux à pouvoir y prétendre. S’il avait obtenu des papiers, Giorgi Maraneli avait un poste de palefrenier qui lui était destiné dans une écurie près de Bailleul. Régulièrement, sur Facebook, il prend des nouvelles des bénévoles qui avaient adouci son quotidien et avec lesquels sa famille s’est liée d’amitié. Eux lui disent que la situation en France ne s’améliore pas, évoquent la loi « immigration » promulguée le 26 janvier. Avec franchise, Giorgi leur écrit qu’il veut revenir.

  • Migration : à la frontière bosno-croate, le rêve européen brisé par les #violences_policières

    A la frontière bosno-croate, porte d’entrée vers l’Union européenne, les violences des garde-frontières croates sur les personnes tentant de traverser se multiplient et s’intensifient. Des violences physiques qui marquent les corps et les esprits des migrants qui les subissent et qui transforment le rêve européen de ces hommes, femmes et enfants en cauchemar continu dans l’attente d’une vie meilleure à l’ouest. Notre collègue Ugo Santkin, journaliste au pôle international $s’est rendu sur place, sur cette frontière bosno-croate qui cristallise la politique migratoire sécuritaire de l’Union européenne. Il revient avec nous sur la situation et sur les témoignages qu’il a recueillis.

    https://www.lesoir.be/571804/article/2024-03-01/migration-la-frontiere-bosno-croate-le-reve-europeen-brise-par-les-violences

    Pour écouter le podcast :
    https://podcasts.lesoir.be/main/pub/podcast/539480

    #migrations #frontières #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #Croatie #violence #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #gardes-frontières #podcast #audio

  • #Archive_of_Silence

    Crowdsourced archive documenting silenced voices in Germany.

    Archive of Silence is a crowdsourced archive documenting silenced voices. Their mission is to chronicle the alarming waves of erasure and violence directed at Palestinian advocacy in Germany. There has been an uprise of bans, cancellations and censorship. Many, including Jewish people, have lost their jobs. Events have been canceled and people have been defamed. Archive of Silence refuses to accept this condition.

    This digital archive serves as a platform for all voices that challenge the rigid political mainstream regarding Israel-Palestine, and have consequently been marginalized or silenced. Archive of Silence addresses those in positions of power, such as politicians, directors of cultural institutions and university presidents: We see you, and we hold you accountable for your complicity! We protest against your anti-democratic bans and the narrowing of our public spaces. We stand against anti-Palestinian, anti-Arab and anti-Muslim racism, against anti-Semitism and any other form of discrimination.

    As a form of dissent, Archive of Silence collects each instance of silencing, ensuring that these injustices will not be forgotten. On their platform, both public cases and anonymous stories are shared. Through this, Archive of Silence aims to build a crowdsourced record of the violence we face, and gather evidence to hold institutions accountable for their complicity.

    Germany, once again, finds itself on the wrong side of history.

    We will not be silenced, and we will not forget.

    If you are interested in this mission, you can follow Archive of Silence on Instagram (archive_of_silence), support by raising awareness and by sharing your own story through the submission form and motivating others to do the same.

    Let’s turn silence into action!

    For freedom of speech

    and for a free Palestine.

    https://www.theleftberlin.com/archive-of-silence
    #censure #Israël #Palestine #Allemagne #archive #liberté_d'expression

    ping @_kg_

  • Rwanda : UK to pay at least $470m to Rwanda for asylum deal, watchdog says

    Rwanda will receive at least**$**470million from the UK as part of the plan to have asylum seekers in the UK relocate there.

    The UK government’s spending watchdog National Audit Office (NAO) on Friday revealed up to $190, 000 will also be paid for each person sent to the east African country over a five-year period.

    The NAO report comes after MPs have been calling for greater transparency over the cost of the scheme. But the amounts have been criticised by Labour which called it a “national scandal”.

    In January, Rwandan President Paul Kagame suggested U.K. efforts to introduce an asylum deal with his country are taking too long to implement after criticism of the plan have brought about protests, lawsuits and rulings that have halted it. A Supreme Court ruling in November described the plan as ’illegal’.

    Britain’s Home Secretary James Cleverly and Rwandan Minister of Foreign Affairs Vincent Biruta signed a new treaty in Kigali, Rwanda’s capital, in December.

    Under the five-year deal, the UK would be able to send individuals who arrive in the country illegally to Rwanda to claim asylum there.

    Britain and Rwanda first signed the deal in April 2022.

    https://www.africanews.com/2024/03/01/rwanda-uk-to-pay-at-least-470m-to-rwanda-for-asylum-deal-watchdog-says
    #financement #aide_financière #Rwanda #externalisation #asile #réfugiés #UK #Angleterre #migrations

    –-

    ajouté à la métaliste sur la mise en place de l’#externalisation des #procédures_d'asile au #Rwanda par l’#Angleterre (2022) :
    https://seenthis.net/messages/966443

    elle-même ajouté à la métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :
    https://seenthis.net/messages/900122

  • A Milano più #smog in periferia che in centro, tassi di decesso doppi

    La concentrazione di inquinamento è maggiore in confronto al passato in periferia rispetto al centro e questo sta comportando anche un aumento considerevole dei decessi tra i residenti, visto che i quartieri limitrofi a quelli centrali sono in media anche quelli più popolati soprattutto tra gli over 65.

    I tassi di decesso nelle aree periferiche sono in particolare raddoppiati, con Milano caso esemplare dei grandi centri urbani italiani dove in media sono più alti fino al 60% nei quartieri lontani dal centro con meno verde, ad alta densità di traffico di traffico e di abitanti over 65.

    A determinare questa nuova tendenza sono il mix smog-condizioni socio-economiche più sfavorevoli, che inducono stili di vita peggiori come fumo, obesità e minore attività fisica con effetto moltiplicativo della mortalità, rispetto alle aree più centrali delle città. Questa l’allerta lanciata dai circa 200 scienziati da tutto il mondo, riuniti a Milano nella conferenza ’RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health 2024’, co-organizzata dalla Fondazione Menarini in collaborazione con Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, e dall’Imperial College di Londra. E gli esperti studiano il modello londinese. La capitale britannica ha deciso di estendere il divieto di circolazione dei veicoli più inquinanti a tutta l’area metropolitana (suscitando non poche polemiche).
    L’allerta arriva a pochi giorni dal varo della nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria e alla luce dei dati di una indagine condotta dall’Agenzia per la tutela della salute di Milano (Ats-Mi) recentemente pubblicata sulla rivista Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia. La ricerca dimostra che nei quartieri di periferia dove passano le tangenziali, con meno verde e più densamente abitate, con molti cittadini over 65, il tasso di decessi attribuibile a biossido di azoto e polveri sottili può aumentare molto rispetto a quello registrato nelle aree limitrofe al centro, meno urbanizzate o più ricche di verde e nei quartieri centrali dove il traffico è solitamente soggetto a limitazioni.

    Con una popolazione di quasi 1,4 milioni di abitanti, ricorda la ricerca, Milano è la seconda città metropolitana d’Italia, storicamente afflitta dal problema dello smog sia per le numerose fonti di emissione che la accomunano alla Pianura Padana (industriali, residenziali, da traffico e da allevamenti intensivi) che, aggiunte al ristagno dell’alta pressione e alle particolari condizioni orografiche, non favoriscono la dispersione degli inquinanti atmosferici. Per valutare gli effetti sanitari a lungo termine sulla popolazione, l’Agenzia per la Tutela della Salute di Milano (Ats-Mi) ha condotto uno studio con cui ha stimato i livelli di concentrazione media degli inquinanti (No2, Pm10 e Pm2.5) per il 2019 con una risoluzione spaziale senza precedenti, pari a 25 metri quadrati. I dati sono stati poi incrociati con le informazioni sanitarie e anagrafiche. «I risultati - dichiara Sergio Harari, co-presidente del congresso, della Divisione di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Divisione di Medicina Interna dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica IRCSS e dell’Università di Milano - permettono di definire una vera e propria mappa dell’inquinamento e dei suoi effetti, quartiere per quartiere e rivelano, per la prima volta, che biossido di azoto e polveri sottili hanno tassi di decesso per 100.000 abitanti che possono arrivare fino al 60% in più in alcune zone della periferia milanese rispetto al centro città». Tra i vari inquinanti l’impatto maggiore nel capoluogo lombardo lo ha avuto «il Pm2,5, responsabile del 13% delle morti per cause naturali (160 su 100mila abitanti) e del 18% dei decessi per tumore al polmone - ha spiegato Pier Mannuccio Mannucci, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico -. Per quanto riguarda Le conseguenze più pesanti si hanno in zone periferiche come Mecenate, Lorenteggio e Bande Nere dove i tassi di decesso superano i 200 per 100mila abitanti, mentre in pieno centro i tassi si assestano attorno a 130». A ’salvare’ le zone centrali, secondo la ricerca, sono le zone a traffico limitato (Ztl) che giocano un ruolo molto importante nel ridurre inquinanti ed effetti deleteri sulla salute.

    https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2024/03/01/piu-smog-in-periferia-che-in-centro-tassi-di-decesso-doppi_88aa7f71-0797-48cc-9
    #pollution #pollution_de_l'air #air #Milan #Italie #rapport #étude #santé #centre-ville #périphérie #mortalité

  • L’Europe doit mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants

    « Dans toute l’Europe, il est de plus en plus fréquent que des organisations et des individus soient harcelés, intimidés, victimes de violences ou considérés comme des délinquants simplement parce qu’ils contribuent à protéger les droits humains des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants. Les États européens doivent mettre fin à cette répression », a déclaré aujourd’hui la Commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatović, à l’occasion de la publication d’une Recommandation sur la situation des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.

    Cette Recommandation, intitulée Protéger les défenseurs : mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe, donne un aperçu des défis auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains et présente les mesures que les États membres du Conseil de l’Europe devraient prendre pour les protéger.

    Dans le contexte de politiques d’asile et de migration répressives, sécuritaires et militarisées, les États négligent de plus en plus leur obligation de veiller à ce que les défenseurs des droits humains puissent travailler dans un environnement sûr et favorable. En conséquence, de multiples formes de répression s’exercent sur les défenseurs qui participent à des opérations de sauvetage en mer, fournissent une aide humanitaire ou une assistance juridique, mènent des opérations de surveillance des frontières, assurent une couverture médiatique, mènent des activités de plaidoyer, engagent des procédures contentieuses, ou soutiennent par d’autres moyens encore les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.

    La Recommandation examine les problèmes auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains, notamment :

    - des propos hostiles et stigmatisants tenus par des représentants gouvernementaux, des parlementaires et certains médias ;
    – des violences et des menaces, et le manque de réaction des autorités pour y répondre ;
    – la criminalisation du travail humanitaire ou de défense des droits humains mené auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants, due à une application trop large des lois sur le trafic illicite de migrants ;
    – le refus d’accès à des lieux où il est essentiel d’assurer un suivi de la situation des droits humains ou de fournir une aide, tels que des centres de détention ou d’accueil ou des zones frontalières.

    « Les gouvernements européens devraient voir les défenseurs des droits humains comme des partenaires qui peuvent contribuer de manière déterminante à rendre les politiques d’asile et de migration plus efficaces et respectueuses des droits humains. Au lieu de cela, ils les traitent avec hostilité. Cette politique délibérée porte atteinte aux droits humains des acteurs de la société civile et des personnes auxquelles ils viennent en aide. Par extension, elle ronge le tissu démocratique des sociétés », a déclaré la Commissaire.

    Afin d’inverser cette tendance répressive, la Commissaire appelle à prendre d’urgence une série de mesures, dont les suivantes :

    - réformer les lois, politiques et pratiques qui entravent indûment les activités des défenseurs des droits humains ;
    – veiller à ce que les lois sur le trafic illicite de migrants ne confèrent le caractère d’infraction pénale à aucune activité de défense des droits humains ou d’aide humanitaire menée auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants ;
    - lever les restrictions d’accès aux lieux et aux informations ;
    - mettre fin au discours stigmatisant et dénigrant ;
    - établir des procédures de sécurité efficaces pour les défenseurs confrontés à des violences ou à des menaces et veiller à ce que ces cas fassent l’objet d’enquêtes effectives.

    https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/264775174?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTAN
    #criminalisation_de_la_solidarité #asile #migrations #réfugiés #solidarité #recommandation #conseil_de_l'Europe #répression #assistance_juridique #sauvetage #aide_humanitaire #violence #menaces #hostilité #droits_humains #rapport

  • #Loi contre le « #démembrement » d’#EDF : la gauche met un pied dans la porte

    Lors de la niche parlementaire du Parti socialiste, l’Assemblée nationale a adopté à l’unanimité la proposition de loi pour « protéger le groupe EDF d’un démembrement ». Le texte a fait l’objet d’un compromis avec le gouvernement, mais constitue une première victoire symbolique.

    C’est l’épilogue d’un véritable marathon parlementaire : l’#Assemblée_nationale a adopté en troisième lecture à l’unanimité, jeudi 29 février, la proposition de loi défendue par le rapporteur socialiste Philippe Brun pour « protéger le groupe EDF d’un démembrement ». « On est allés à la limite de ce que pouvait faire l’opposition dans la Ve République », se félicitait Philippe Brun, salle des Quatre Colonnes, après le vote.

    Derrière ce résultat apparemment consensuel se cache en effet une longue lutte politique enclenchée il y a plus d’un an. Le Parti socialiste (PS), dans le cadre de sa niche parlementaire (où il décide de l’ordre du jour une fois par an, comme ce jeudi), avait alors fait adopter pour la première fois, contre l’avis du gouvernement, cette proposition de loi comprenant un #bouclier_tarifaire censé profiter aux petites entreprises « afin de faire face à la hausse des prix de l’énergie ».

    Depuis, le texte a navigué plusieurs fois entre l’Assemblée nationale et le Sénat et a obtenu à chaque fois la majorité des voix, contraignant le gouvernement à « plier le genou devant le Parlement », selon la formule du député socialiste Philippe Brun. Mais si le texte a été adopté dans une démarche constructive entre tous les groupes, c’est que les socialistes ont accédé aux compromis proposés par le gouvernement, qui menaçait de saisir le Conseil constitutionnel pour faire tomber des amendements (il n’est ainsi plus question d’actionnariat salarié dans le texte).

    La #privatisation d’EDF rendue impossible

    Ce n’est donc plus une proposition de loi aussi ambitieuse qu’au départ qui a été votée. « Personne n’a souhaité nourrir l’illusion que c’était un texte révolutionnaire pour construire un véritable pôle public de l’#énergie. Cette grande loi de #nationalisation actualisée devra être à l’ordre du jour quand nous serons aux responsabilités », a souligné le communiste Sébastien Jumel, corapporteur du texte, en conclusion des débats.

    Le texte comprend principalement une mesure d’extension des #tarifs_réglementés_de_vente_d’électricité (#TRVE) qui bénéficiera aux entreprises de moins de dix salarié·es (2,5 millions d’entreprises) et aux petites #collectivités_territoriales (10 000 communes). Les agriculteurs et agricultrices ainsi que les boulangers et boulangères qui, jusqu’à présent, ne pouvaient pas en bénéficier en raison de la puissance consommée, vont donc désormais en bénéficier. La droite sénatoriale a toutefois détricoté le texte en excluant notamment de cette extension les #bailleurs_sociaux.

    En outre, le texte inscrit l’incessibilité du capital d’EDF dans la loi, obligeant à l’avenir toute décision en la matière à être soumise au Parlement. La gauche y tenait particulièrement, s’étant battue contre le projet #Hercule qui visait à démanteler l’électricien public et à vendre les parties les plus rentables, notamment #Enedis. « La privatisation d’EDF est désormais impossible », explique #Philippe_Brun.

    Si, à plusieurs reprises, les député·es des groupes de gauche se sont félicité·es d’avoir « gagné une bataille politique », c’est qu’en un peu plus d’un an, la majorité présidentielle s’est rangée à la nécessité d’une régulation du marché de l’électricité. « Nous nous réjouissons que le gouvernement ait finalement trouvé de l’intérêt à notre proposition. Il y a un an, il combattait les tarifs réglementés : c’était la ruine, c’était démagogique, c’était contraire au droit européen. Ils y sont désormais favorables », note Philippe Brun. Une inconstance que sa collègue de La France insoumise (LFI) Alma Dufour a raillée dans l’hémicycle d’une formule imagée : « Vous retournez tellement votre veste sur le sujet que vous êtes sur le point de réinventer le courant alternatif. »

    Le dilemme du marché européen

    Le triomphalisme affiché par le ministre délégué chargé de l’industrie, Roland Lescure, et le député Renaissance Emmanuel Lacresse, qui ont transformé cette loi en « un acquis du groupe Renaissance et de la majorité », a donc fait grincer des dents à gauche.

    Néanmoins, comme le souligne un communiqué du groupe LFI, si cette proposition de loi, que le gouvernement s’est engagé à faire adopter par le Sénat le 3 avril, met un coup d’arrêt à la #libéralisation, « la gauche n’a pas gagné la guerre des prix de l’électricité » pour autant. Sans réforme du marché européen de l’électricité, elle n’est qu’un premier pas. « La réforme européenne va dans le très mauvais sens : elle n’a pas touché à l’indexation sur les cours du gaz du prix de l’électricité, et en 2025, la Commission européenne est même censée demander la fin de tout #tarif_réglementé pour les ménages et les TPE », prévient la députée LFI Alma Dufour.

    Le député socialiste Philippe Brun, qui se dit « favorable à sortir du marché européen de l’électricité », convient bien d’une « loi plus défensive qu’offensive », donc, mais qui permet d’ouvrir un front. Avec le passage de cette proposition de loi, la gauche met un pied dans la porte, ce qui laisse présager d’un débat parlementaire autrement plus houleux lors de la réforme à venir de la loi Nome sur le marché de l’électricité.

    https://www.mediapart.fr/journal/politique/290224/loi-contre-le-demembrement-d-edf-la-gauche-met-un-pied-dans-la-porte

    #agriculture #boulangeries #service_public #tarif #prix

  • #Naufrages de migrants: les règles entourant Frontex doivent changer (médiatrice)

    La #médiatrice_européenne a appelé mercredi à modifier les #règles rendant l’agence de l’UE chargée des frontières #Frontex dépendante des autorités nationales, afin d’éviter de nouveaux drames en mer.

    « Frontex a le devoir d’aider à secourir des vies en mer, mais il manque les outils pour cela », a déclaré la médiatrice européenne #Emily_O’Reilly lors de la présentation de son rapport.

    Elle a mené une enquête de sept mois sur le naufrage, les 13 et 14 juin 2023, de l’Adriana, un chalutier vétuste et surchargé qui était parti de Libye avec environ 750 personnes à bord.

    Seuls 104 survivants ont été secourus et 82 corps retrouvés après le naufrage.

    Cette enquête a montré que Frontex, qui apporte son aide aux autorités nationales, n’était pas en mesure de respecter pleinement les #obligations de l’UE en matière de #droits lors des opérations de #sauvetage_en_mer.

    Emily O’Reilly, dont le rôle est de demander des comptes aux institutions et agences de l’UE, a averti qu’à moins d’un changement, il est probable que « la tragédie d’Adriana se répétera ».

    Le drame s’est produit alors que la Grèce et l’Italie avaient renforcé leurs frontières pour éviter l’arrivée de migrants après d’importants flux en 2015-2016, et que l’UE travaillait à une refonte de ses règles concernant les demandeurs d’asile.

    Emily O’Reilly a exhorté Frontex à réfléchir à la question de « mettre fin, retirer ou suspendre ses activités » dans les Etats membres de l’UE où il existe des « craintes » que les autorités nationales limitent sa capacité à sauver des vies.

    « Il existe une tension évidente entre les obligations de Frontex en matière de #droits_fondamentaux et son devoir de soutenir les États membres dans le contrôle de la gestion des frontières », a-t-elle déclaré.

    Elle a également appelé le Parlement européen, la Commission européenne et le Conseil européen, qui représente les États membres de l’UE, à lancer une #commission_d’enquête indépendante sur la tragédie et le « grand nombre de morts en Méditerranée ».

    La Commission européenne a déclaré mercredi avoir « pris note » du rapport de la médiatrice. « Nous allons l’évaluer comme il se doit et y répondre de manière approfondie », a déclaré la porte-parole Anitta Hipper.

    Elle a souligné que les opérations de secours relevaient de la « compétence des États membres », c’est-à-dire que Frontex fonctionnait uniquement en soutien aux autorités nationales des pays de l’UE dans lesquels elle opère.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/280224/naufrages-de-migrants-les-regles-entourant-frontex-doivent-changer-mediatr
    #mourir_en_mer #morts_en_mer

    • La Médiatrice appelle à modifier les règles de l’UE en matière de recherche et de sauvetage et à mener une enquête publique sur les décès en Méditerranée

      Une enquête du Médiateur européen sur le rôle de l’Agence de garde-frontières et de garde-côtes de l’UE (Frontex) dans les opérations de recherche et de sauvetage a montré que ses règles en vigueur la mettent dans l’incapacité de remplir pleinement ses obligations en matière de droits fondamentaux et la rendent trop dépendante des États membres pour intervenir lorsque des embarcations de migrants sont en détresse.

      L’enquête a été lancée par la Médiatrice européenne, Emily O’Reilly, à la suite de la tragédie de l’Adriana en juin 2023, provoquant la noyade de plus de 600 personnes au large des côtes grecques. Sur base des documents inspectés au cours de l’enquête, il a été noté que Frontex a proposé d’intervenir à quatre reprises auprès des autorités grecques pour assurer la surveillance aérienne de l’Adriana, mais n’a reçu aucune réponse. C’est l’application des règles en vigueur qui a empêché Frontex de se rendre sur le lieu du naufrage au moment le plus critique car elle n’avait pas encore obtenu l’autorisation des autorités grecques.

      En fait, Frontex s’est rendue deux fois sur le lieu du naufrage de l’Adriana : une première fois en le survolant rapidement en avion deux heures après que les autorités italiennes ont déclenché l’alerte, puis 18 heures plus tard avec un drone après que le bateau avait déjà coulé.

      L’enquête a également montré que Frontex ne dispose pas de directives internes en matière d’émission de signaux d’urgence (par exemple, les appels Mayday) et que les contrôleurs des droits fondamentaux de Frontex ne sont pas suffisamment impliqués dans la prise de décision en cas d’urgence maritime.

      La Médiatrice a demandé à Frontex de trouver des solutions à toutes ces défaillances. Elle a également indiqué que, compte tenu des préoccupations de plus en plus importantes concernant les violations des droits fondamentaux dans un État membre, Frontex devrait évaluer à partir de quel moment elle peut se permettre officiellement de mettre fin à ses activités auprès de l’État membre concerné.

      « Nous devons nous demander pourquoi un bateau qui avait tant besoin d’aide n’en a jamais obtenue alors que sa situation périlleuse était connue d’une agence de l’UE, des autorités de deux États membres, de la société civile et de navires privés. Pourquoi les mesures d’urgence de sauvetage – qui auraient permis de sauver des centaines de vies – n’ont pas été déclenchées alors que le bateau était bondé, qu’il n’y avait pas suffisamment de gilets de sauvetage, que des enfants étaient à bord et que le risque d’un drame était prévisible », a déclaré Emily O’Reilly.

      « L’intitulé de l’agence Frontex comporte la mention de “garde-côtes”, mais son mandat et sa mission actuels sont manifestement en deçà. Si Frontex a le devoir de sauver des vies en mer mais que les rouages pour y parvenir font défaut, c’est clairement un problème qui incombe aux législateurs de l’UE.

      Il existe des tensions évidentes entre les obligations de Frontex en matière de droits fondamentaux et son devoir de soutenir la gestion du contrôle aux frontières des États membres. »

      « Coopérer avec des autorités nationales, dont les obligations en matière de recherche et de sauvetage ne semblent pas être respectées, risque de rendre l’UE complice d’actions qui violent les droits fondamentaux et portent atteinte à des vies humaines. »

      Conclusions générales – enquête publique sur les décès en Méditerranée

      Au-delà de l’enquête et des recommandations concernant Frontex, la Médiatrice a tiré des conclusions sur des questions systémiques plus générales. Elle a indiqué que, bien que le Médiateur grec enquête sur les actions des garde-côtes, il n’existe pas de mécanisme de responsabilisation unique au niveau européen pour enquêter de manière indépendante sur le rôle respectif des autorités grecques, de Frontex et de la Commission européenne, qui est chargée de veiller au respect des dispositions relatives aux droits fondamentaux prévues par les traités de l’UE.

      Elle a demandé au Parlement européen, au Conseil de l’Union européenne et à la Commission européenne de créer une commission d’enquête indépendante chargée d’évaluer les raisons du nombre si important de décès en Méditerranée et de tirer les leçons du naufrage de l’Adriana.

      « Presque huit mois après cet événement tragique, aucun changement n’a été apporté pour empêcher qu’un tel drame ne se reproduise », a déclaré la Médiatrice.

      https://www.ombudsman.europa.eu/fr/press-release/fr/182676

    • Naufrage de #Pylos : la médiatrice de l’UE regrette que Frontex n’ait pas « joué un rôle plus actif » pour sauver les exilés

      Dans un rapport rendu mercredi, la médiatrice européenne Emily O’Reilly regrette que Frontex n’ait pas déclenché un appel d’urgence pour venir en aide aux 750 passagers de l’Adriana, ce bateau de pêche qui a fait naufrage le 14 juin 2023. Ce jour-là, plus de 500 exilés sont morts, faute d’une opération de sauvetage menée dans les temps.

      Huit mois après le terrible naufrage au large de Pylos, en Grèce, d’un bateau de pêche surchargé, Frontex, l’agence européenne de surveillance des frontières est à nouveau pointée du doigt. Le 14 juin 2023, une embarcation de plus de 750 exilés, l’Adriana, a fait naufrage dans les eaux grecques, entraînant la mort d’au moins 500 personnes. Seules 104 personnes ont survécu et 82 corps ont été retrouvés.

      Selon Emily O’reilly, la médiatrice européenne, qui a rendu son rapport mercredi 28 février, les garde-frontières de l’UE auraient dû agir pour aider les passagers en détresse. Pourtant aucun appel « Mayday », une procédure internationale d’alerte en cas d’urgence vitale, n’a été émis par Frontex. Et ce, alors qu’un de ses avions de reconnaissance avait survolé la zone et avait vu le bateau en grande difficulté et surchargé. L’agence a seulement signalé le bateau aux autorités grecques.

      Mais la médiatrice n’accable pas l’agence et assure que Frontex n’a commis aucune faute. Si elle regrette qu’aucun Mayday n’ait été lancé, elle reconnaît dans le même temps que l’avion de l’agence a observé un « bateau très surpeuplé (où) il n’y avait pas de gilets de sauvetage visibles, mais qui se déplaçait à une vitesse constante et sur une route régulière, et semblait être dans un état de navigabilité ».

      « Il est impossible de dire si l’émission d’un relais Mayday au moment de la surveillance initiale de Frontex sur l’Adriana aurait sauvé des vies, mais le bateau a finalement chaviré avec la perte totale de plus de 600 personnes », écrit la médiatrice.
      Frontex, trop dépendante des Etats membres pour sauver des vies

      Emily O’Reilly déplore surtout le manque de réactivité des Grecs face aux quatre offres répétées d’assistance de Frontex ce jour-là. Athènes n’a pas répondu aux messages de Frontex et a refusé l’offre de l’agence d’envoyer un avion supplémentaire dans la zone, indique le rapport.

      Les règles qui régissent Frontex « la rendent trop dépendante des États membres pour intervenir lorsque des embarcations de migrants sont en détresse », souligne encore le rapport. « La capacité de Frontex à sauver des vies en danger est encore limitée par le fait que ce sont les autorités des États membres qui dirigent et coordonnent les missions de recherche et de sauvetage ».

      Une semaine après le drame, une enquête avait été ouverte par la justice grecque. La Cour suprême grecque avait également ordonné de lancer des investigations pour définir les causes du drame qui a choqué le pays.

      Très vite, des questions quant au rôle des garde-côtes grecs avaient émergé. Selon plusieurs enquêtes journalistiques fouillées, ces derniers sont intervenus tardivement sur les lieux du naufrage. Une enquête de la BBC démontre aussi que le bateau bondé était à l’arrêt au large de la Grèce, contrairement à la version donnée par les garde-côtes grecs, selon laquelle les exilés faisaient route vers l’Italie à une vitesse régulière.
      Plus de 3 000 morts en 2023 en Méditerranée

      Dans un rapport publié en décembre 2023, Amnesty international et Human Rights Watch ont jugé que la nature des enquêtes judiciaires en cours en Grèce suscitait « des inquiétudes »."Les enquêtes officielles sur les allégations crédibles selon lesquelles les actions et les omissions des garde-côtes grecs ont contribué au naufrage [...] n’ont guère progressé de manière significative", estiment les deux organisations.

      En septembre 2023, 40 survivants avaient également porté plainte contre l’État grec et demandaient eux aussi une enquête approfondie. Trois mois après le naufrage, « aucun des survivants n’avait été appelé à témoigner ou fournir des preuves dans le cadre d’une enquête », déploraient déjà un collectif d’ONG dans un communiqué.

      Face à ce naufrage terrible, Emily O’Reilly recommande enfin à Frontex de faire mieux. « La tragédie d’Adriana a eu lieu lorsque Frontex était pleinement consciente de l’histoire récente de préoccupations concernant le respect, par les autorités grecques, des obligations en matière de droits fondamentaux. » L’Etat grec est en effet accusé de multiples pushbacks en mer Egée.

      En avril 2023, des garde-côtes grecs ont été filmés en train de placer sur un canot à la dérive un groupe de migrants, en majorité des enfants, dont un nourrisson. Ce refoulement, strictement interdit par le droit européen et international, a été révélé par le New York Times dans une vidéo.

      Enfin, Frontex devrait aussi « mettre fin, de se retirer ou de suspendre ses activités » si elle ne réussit pas à respecter ses obligations en matière de droits humains, conclut, cinglante, Emily O’Reilly.

      Selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), le nombre de décès et de disparitions de migrants en Méditerranée n’a cessé d’augmenter ces dernières années : 2 048 en 2021, 2 411 en 2022 et 3 129 en 2023.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/55482/naufrage-de-pylos--la-mediatrice-de-lue-regrette-que-frontex-nait-pas-

    • Frontex : l’UE risque de devenir « complice » de la mort de migrants (rapport du médiateur européen)

      Frontex devrait se retirer des pays qui ne secourent pas les migrants en mer ou qui violent les droits fondamentaux. Sinon, l’UE risque de devenir « complice » des décès, a averti le médiatrice européenne dans un nouveau rapport.

      Les conclusions, publiées mercredi matin, offrent un regard plus approfondi sur la relation souvent tendue entre l’agence des frontières de l’UE et les 27 Etats membres.

      L’enquête de la médiatrice a été lancée en réponse au naufrage de l’Adriana en juin 2023, lorsqu’un navire surchargé a coulé au large des côtes de Messénie, en Grèce, et a laissé plus de 600 victimes confirmées ou présumées.

      L’organisme de surveillance ne conclut pas que Frontex a « enfreint les règles et procédures applicables », mais note que sa capacité à opérer en mer est gravement compromise par sa conception, qui rend l’agence dépendante du consentement et de la bonne volonté des autorités nationales. Par conséquent, Frontex n’a qu’une marge de manœuvre limitée pour agir de manière indépendante, même dans les cas extrêmes où la vie des personnes est en danger immédiat.

      « Il existe une tension évidente entre les obligations de Frontex en matière de droits fondamentaux et son devoir de soutenir les États membres dans le contrôle de la gestion des frontières », la médiatrice européenne Emily O’Reilly.

      « Coopérer avec les autorités nationales lorsque l’on craint qu’elles ne remplissent pas leurs obligations en matière de recherche et de sauvetage risque de rendre l’UE complice d’actions qui violent les droits fondamentaux et coûtent des vies. »

      En ce qui concerne le naufrage de l’Adriana, le rapport indique que Frontex était « parfaitement au courant » des préoccupations des autorités grecques et des accusations de refoulement systématique. Et pourtant, malgré cette connaissance, les règles « ont empêché Frontex de jouer un rôle plus actif dans l’incident de l’Adriana ».

      La médiatrice regrette l’absence de directives internes de l’agence pour émettre des appels à l’aide, une procédure internationale d’alerte en cas d’urgence vitale. Frontex n’a pas émis de relais d’appel à l’aide lorsqu’elle a détecté l’Adriana grâce à la surveillance aérienne.

      Les autorités grecques n’ont pas répondu au message de Frontex à « quatre occasions distinctes » pendant la tragédie et ont refusé l’offre de l’agence d’envoyer un avion supplémentaire dans la zone, indique le rapport. (Athènes a lancé plusieurs enquêtes pour faire la lumière sur les circonstances).

      Sur cette base et d’autres similaires, la médiatrice recommande que Frontex « mette fin, se retire ou suspende ses activités » avec les Etats membres qui persistent à ne pas respecter leurs obligations en matière de recherche et de sauvetage ou à violer les droits fondamentaux.

      La coopération de Frontex avec la Grèce est un sujet de conversation brûlant depuis le naufrage de l’Adriana. Au lendemain de la tragédie, le responsable des droits fondamentaux de l’agence a appelé à une suspension des activités, mais son directeur exécutif, Hans Leijtens, a par la suite atténué cette demande, affirmant que la décision devait être « équilibrée ».

      Dans son rapport, Emily O’Reilly prévient que si Frontex continue à travailler avec les pays en première ligne sans « changements significatifs », l’engagement de l’UE à protéger les vies humaines sera remis en question. Elle exhorte donc l’Union européenne à modifier le mandat légal de l’agence et à lui assurer un plus grand degré d’indépendance.

      « Si Frontex a le devoir d’aider à sauver des vies en mer, mais que les outils pour ce faire font défaut, il s’agit clairement d’une question pour les législateurs de l’UE ».

      De plus, la médiatrice demande la mise en place d’une commission d’enquête indépendante qui pourrait se pencher sur le grand nombre de décès en Méditerranée et sur la responsabilité des autorités nationales, de Frontex et des institutions de l’UE.

      Selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), le nombre de décès et de disparitions de migrants en Méditerranée n’a cessé d’augmenter ces dernières années : 2 048 en 2021, 2 411 en 2022 et 3 041 à la fin de 2023.

      En réaction au rapport, Frontex répond qu’elle « examine activement » les suggestions de la médiatrice et souligne que ses opérations s’inscrivent « dans le cadre des lois applicables ».

      « Notre agence s’en tient strictement à son mandat, qui n’inclut pas la coordination des efforts de sauvetage - une responsabilité qui incombe aux centres nationaux de coordination des secours », ajoute l’agence dans un communiqué. « Dans tous les cas où nos moyens détectent des situations de détresse potentielles, nous alertons rapidement les autorités compétentes ».

      Pour sa part, la Commission européenne, qui est également citée dans le rapport, annonce qu’elle répondrait à Emily O’Reilly en temps voulu, mais n’a pas confirmé si elle soutiendrait des changements dans le mandat de l’agence. Un porte-parole appelle les États membres à enquêter sur les décès de migrants de manière « rapide, indépendante et approfondie ».

      « Nous ne voulons pas que de telles tragédies se produisent », poursuit le porte-parole.

      Frontex estime avoir secouru 43 000 personnes en mer et renvoyé 39 000 migrants dans leur pays d’origine au cours de 24 opérations en 2023, année qui a vu « les niveaux les plus élevés de migration irrégulière depuis 2016. »

      https://fr.euronews.com/my-europe/2024/02/28/frontex-lue-risque-de-devenir-complice-de-la-mort-de-migrants-rapport-d

  • How an EU-funded security force helped Senegal crush democracy protests

    An elite EU-trained Senegalese police unit was meant to tackle cross-border crime. Instead it was used to quash a popular movement, an Al Jazeera investigation has found.

    The Senegalese government deployed a special counterterrorism unit, created, equipped, and trained with funding from the European Union, to violently suppress recent pro-democracy protests, a joint investigation between Al Jazeera and porCausa Foundation reveals.

    Since 2021, the trial of popular and controversial opposition leader #Ousmane_Sonko has led to demonstrations across the West African nation, in which dozens have been killed. Al Jazeera and porCausa obtained visual evidence, Spanish government contracts, a confidential evaluation report, and testimonies from multiple sources suggesting that the EU-funded #Rapid_Action_Surveillance_and_Intervention_Group, also known as #GAR-SI, was used to violently crush those protests.

    In one video, security personnel in the same type of armoured vehicles the EU bought for #GAR-SI_Senegal are seen firing tear gas at a protest caravan organised by Sonko last May. Al Jazeera verified that the incident happened in the southern Senegalese village of #Mampatim, about 50km (31 miles) from Kolda, in the Casamance region.

    The EU-funded elite units were instead meant to be based in Senegal’s border areas with Mali to fight cross-border crime.

    Elite unit

    #GAR-SI_Sahel was a regional project lasting between 2016 and 2023 and funded with 75 million euros ($81.3m) from the EU’s Emergency Trust Fund for Africa (#EUTF_for_Africa), a pot of development funding dedicated to addressing the root causes of migration in Africa.

    The programme was implemented by the #International_and_Ibero-American_Foundation_for_Administration_and_Public_Policies (#FIIAPP), a development agency belonging to Spain’s Ministry of Foreign Affairs. GAR-SI units were created across the region, in countries like Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania, Niger and Senegal, “as a prerequisite for their sustainable socio-economic development”.

    The Senegalese 300-strong unit, created in 2017, cost more than 7 million euros ($7.6m at the current exchange rate) and was aimed at creating a special intervention unit in the town of #Kidira, on the border of Mali, to protect Senegal from potential incursions by armed groups and cross-border crimes, including migrant smuggling.

    Modelled after Spanish units that fought against the separatist movement Basque Homeland and Liberty, also known by the Spanish initials ETA, GAR-SI Senegal has received technical training and mentoring from the Spanish Civil Guard as well as French, Italian and Portuguese security forces.

    After the completion of the project, at the request of all stakeholders, the EU delegation in Senegal continued with a second phase using another funding mechanism, according to one Spanish and one Senegalese police source familiar with the matter. About 4.5 million euros ($4.9m) was earmarked for a second 250-strong GAR-SI Senegal unit near the town of Saraya, close to the border with Guinea and Mali.

    A second unit was also created in Mali but for other countries, especially Chad, the project was considered to be a “failure”, according to the former Senegalese police official, who said the EU lost money by paying for equipment that was not appropriate for use.

    https://www.aljazeera.com/features/2024/2/29/how-an-eu-funded-security-force-helped-senegal-crush-democracy-protests

    #Sénégal #police #formation #EU #UE #Union_européenne #démocratie #ingérence #contre-terrorisme #Trust_Fund #Espagne #France #Italie #Portugal #frontières #financement #Mali #Tchad #équipement

  • Delayed appeal trial of the Moria 4 set for 4 March 2024

    PRESS RELEASE , 6 February 2024, Mytilini, Lesvos

    On Monday 4 March 2024, R.F.M., S.M.H, S.A.M.S. and H.W., four of the six Afghan defendants who were accused and convicted for the fires that destroyed Moria refugee camp in September 2020, will appear before the Mixed-Jury Court of Appeals of the North Aegean in Lesvos, to challenge their conviction, represented in part by lawyers of the Legal Centre Lesvos. This appeal trial was originally scheduled to take place a year ago on 6 March 2023, but was postponed, without the ability to make any significant objection and arguments for their case.

    On 13 June 2021, at the first instance trial the four had been convicted of “arson with danger to human life” by the Mixed Jury Court of Chios in an unfair trial that disregarded the basic procedural and substantive safeguards. Indicatively: 1) Under the pretext of COVID-19 measures, lawyers – trial observers of international organisations, a lawyer-representative of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), journalists of the domestic and international press, as well as the public were excluded from the courtroom. 2) None of the essential documents of the trial was translated into a language that the defendants could understand, and as a result they could not understand the charges against them. Further, during the trial, the interpretation provided to them by the court was inadequate. 3) Their conviction was based solely on the testimony of a witness who did not appear in court and who could not be cross examined. All four were sentenced to 10 years in prison, with no mitigating circumstances accepted. For three and a half years now, the four young men have been imprisoned in Greece. More details about the first instance trial can be found in an earlier post by the defence lawyers, which was released following the trial.

    As a reminder, the fires that destroyed Moria camp in September 2020 came four and a half years after the EU-Turkey “Deal” turned the Aegean islands into prison islands for those forced to cross the border from Turkey, and Moria camp became the notorious symbol of the EU’s migration policies. Rather than recognising the destruction of Moria camp as an inevitable consequence of the “hotspot approach” and of the clear mismanagement of a camp with a lack of infrastructure that posed deadly dangers to residents, in particular during the COVID-19 pandemic; the Greek state arrested six young Afghan teenagers, namely, the “Moria 6”, and presented them as the sole criminally responsible for the fires.

    Following their arrest, the case of the Moria 6 was separated, as two of the accused were registered as minors at the time of their arrest and were tried in a Court for Minors, and the other four were tried as adults. The two who were arrested as minors are also represented by the Legal Centre Lesvos, and saw their conviction confirmed on appeal in June 2022, and in the Supreme Court in October 2023.

    As Legal Centre Lesvos, we hope that, despite the complete disregard to basic principles of justice at the first instance trial, the defendants will finally be able to present again the exculpatory evidence they had presented at their first court after almost three years, and that all four will finally be acquitted and released from prison.

    We welcome your presence at the court on 4 March 2024 to observe and follow the trial and ensure that the four defendants are supported.

    Press Contacts

    Vicky Aggelidou, vicky@legalcentrelesvos.org

    Lorraine Leete, lorraine@legalcentrelesvos.org

    https://legalcentrelesvos.org/2024/02/06/delayed-appeal-trial-of-the-moria-4-set-for-4-march-2024
    #justice #Moria #Grèce #Lesbos #procès #incendie #feu #réfugiés #migrations

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    ajouté au fil de discussion sur cet incendie :
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    et la métaliste sur les incendies dans des #camps_de_réfugiés :
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  • Travailleurs saisonniers du #Maghreb : la #FNSEA lance son propre business

    Grâce à des #accords passés en #Tunisie et au #Maroc, le syndicat agricole a décidé de fournir des « saisonniers hors Union européenne » aux agriculteurs. Elle fait des prix de gros et recommande d’éviter de parler de « migrants ».

    Le syndicat de l’#agrobusiness ne laisse décidément rien au hasard. Après avoir mis des pions dans la banque, l’assurance, les oléoprotéagineux ou le biodiesel, la FNSEA vient de lancer un service destiné à fournir des saisonniers aux agriculteurs français. #Jérôme_Volle, vice-président du syndicat agricole, a organisé, mercredi, au Salon de l’agriculture, une réunion de présentation du dispositif, fermée au public et aux journalistes.

    Pour l’instant, la chambre d’agriculture Provence-Alpes-Côte d’Azur (Paca) a été la seule à promouvoir ce « nouvel outil » destiné « à faire face à la pénurie de main-d’œuvre ». Le nom du service, « Mes #saisonniers_agricoles », a été déposé, le 9 janvier, à l’Institut national de la propriété industrielle (Inpi).

    Ce « #service_de_recrutement » de la FNSEA repose sur « un #partenariat avec les ministères et les partenaires emploi de la Tunisie et du Maroc » et ne proposera que des saisonniers recrutés hors Union européenne. Ce #service n’est pas sans but lucratif. Selon des documents obtenus par Mediapart, le syndicat s’apprête à facturer aux agriculteurs « 600 euros hors taxe » par saisonnier en cas de commande « de 1 à 3 saisonniers », mais il fait un prix « à partir du 4e saisonnier » : « 510 euros hors taxe le saisonnier ».

    Cette note interne précise qu’un montant de 330 euros est affecté à la « prestation fixe » du syndicat (« rétribution FNSEA »), pour la « recherche / formalité » et le fonctionnement de la « #cellule_recrutement ». Et qu’une rétribution de 270 euros, « ajustable », pourra être perçue par la fédération départementale du syndicat.

    Ces montants sont calculés « pour la première année », car la FNSEA propose aussi son « offre renouvellement », pour un ou plusieurs saisonniers « déjà venu(s) sur l’exploitation », soit « 120 euros hors taxe par saisonnier, puis au 4e 20 euros par saisonnier ». Le syndicat entend donc prélever sa dîme aussi pour les saisonniers déjà connus de l’employeur.

    « Le réseau FNSEA est le premier à mettre en place un schéma organisé et vertueux incluant la phase amont de #recrutement dans les pays hors UE », vante un autre document, qui précise les « éléments de langage » destinés à promouvoir le service « auprès des employeurs agricoles ». « La construction d’un cadre administratif conventionné a été réalisée en concertation avec les ministères de l’intérieur, du travail, des affaires étrangères, les agences pour l’emploi », indique ce document, qui signale que « les premiers pays engagés dans la démarche sont la Tunisie et le Maroc », mais que « d’autres suivront ».

    Dans le lot des récentes #concessions_gouvernementales à la FNSEA figure d’ailleurs la possible inscription de plusieurs #métiers_agricoles dans la liste des #métiers_en_tension – agriculteurs, éleveurs, maraîchers, horticulteurs, viticulteurs et arboriculteurs salariés. Cette mesure qui pourrait être prise par arrêté, le 2 mars, après consultation des partenaires sociaux, doit permettre d’accélérer les procédures de recrutement hors UE. Et devrait donc faciliter le fonctionnement de la cellule ad hoc du syndicat.

    Dans sa note de cadrage, la FNSEA avertit son réseau d’un « point de vigilance » sur le #vocabulaire à employer s’agissant des saisonniers et recommande d’éviter d’employer les termes « #migrant » ou « #primo-migrant » dans leur description du service.

    Le fonctionnement de la « cellule recrutement » des saisonniers n’est pas détaillé par la FNSEA. « Les candidats sont retenus selon les critères mis en place par un #comité_de_sélection composé d’exploitants qui examinent la pertinence des candidatures », précise seulement le syndicat.

    « L’exploitant retrouve le pouvoir de déterminer les compétences souhaitées pour les saisonniers qu’il recrute, il redevient donc maître de ses choix en matières RH. La FD [la fédération départementale – ndlr] l’accompagne et vérifie avec lui la cohérence de ses besoins avec les productions pratiquées (nombre de saisonniers, périodes, tâches). »

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    Le précédent de Wizifarm

    « Nos saisonniers agricoles » n’est pas la première tentative de la FNSEA sur le marché du travail des saisonniers. En 2019, sa fédération départementale de la Marne et deux entreprises contrôlées par le syndicat avaient créé une #start-up, #Wizifarm, pour offrir aux agriculteurs une #plateforme de recrutement de saisonniers en ligne « en s’inspirant du modèle des sites de rencontre ». Lors du premier confinement, cette plateforme est mise à profit par la FNSEA et Pôle emploi pour tenter de fournir de la #main-d’œuvre à l’agriculture dans le cadre de l’opération « desbraspourtonassiette.wizi.farm ».

    La structure a été initialement capitalisée à hauteur de 800 000 euros par « l’apport en nature de logiciels » achetés par la FDSEA à la société #TER’informatique – présidée par le secrétaire général adjoint de la FDSEA, #Mickaël_Jacquemin –, et par l’apport de 100 000 euros de la société d’expertise comptable de la fédération, #AS_Entreprises – présidée par le président de la FDSEA #Hervé_Lapie.

    Cinq fédérations départementales du syndicat et la chambre d’agriculture de la Marne ont rejoint la start-up en 2021. Mais, fragile financièrement, Wizifarm s’essouffle. La société vote sa dissolution anticipée et sa mise en liquidation judiciaire fin 2022. Wizifarm laisse un passif de 1,3 million d’euros. Contactés, Hervé Lapie et Mickaël Jacquemin ont refusé de répondre aux questions de Mediapart.

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    On ne sait pas précisément comment la cellule de la FNSEA fonctionnera avec ses « fédés » départementales mais « un process informatique national » doit charpenter l’initiative. Sollicité par Mediapart au Salon de l’agriculture, Jérôme Volle, artisan de ce dispositif, vice-président de la FNSEA et président de sa commission emploi, n’a pas souhaité répondre à nos questions.

    En 2022, il soulignait que « les filières viticoles et arboricoles », « très gourmandes en main-d’œuvre », étaient « les plus mobilisées dans la recherche de candidats », suivies par la filière maraîchage.

    Aucune des différentes notes de cadrage obtenues par Mediapart n’évoque la #rémunération des saisonniers ou leurs #conditions_de_travail ou d’hébergement, pourtant récemment au cœur de l’actualité. En septembre dernier, après la mort de quatre personnes lors des vendanges en Champagne, la Confédération paysanne avait demandé un « plan de vigilance et d’amélioration des conditions de travail et de rémunération » pour les saisonniers, ainsi que « le contrôle des sociétés de prestation de services internationales ».

    https://www.mediapart.fr/journal/france/290224/travailleurs-saisonniers-du-maghreb-la-fnsea-lance-son-propre-business
    #travail_saisonnier #saisonniers #agriculture #France #accords_bilatéraux #migrations #business

  • « La vraie #souveraineté_alimentaire, c’est faire évoluer notre #modèle_agricole pour préparer l’avenir »

    Professeur à l’université Paris-Saclay AgroParisTech, l’économiste de l’environnement #Harold_Levrel estime que le concept de « souveraineté alimentaire » a été détourné de sa définition originelle pour justifier un modèle exportateur et productiviste.

    Hormis les denrées exotiques, dans la plupart des secteurs, la #production_agricole nationale pourrait suffire à répondre aux besoins des consommateurs français, sauf dans quelques domaines comme les fruits ou la volaille. Or, les #importations restent importantes, en raison d’un #modèle_intensif tourné vers l’#exportation, au risque d’appauvrir les #sols et de menacer l’avenir même de la production. D’où la nécessité de changer de modèle, plaide l’économiste.

    Comment définir la souveraineté alimentaire ?

    Selon la définition du mouvement altermondialiste Via Campesina lors du sommet mondial sur l’alimentation à Rome en 1996, c’est le droit des Etats et des populations à définir leur #politique_agricole pour garantir leur #sécurité_alimentaire, sans provoquer d’impact négatif sur les autres pays. Mais les concepts échappent souvent à ceux qui les ont construits. Mais aujourd’hui, cette idée de solidarité entre les différents pays est instrumentalisée pour justifier une stratégie exportatrice, supposée profiter aux pays du Sud en leur fournissant des denrées alimentaires. Le meilleur moyen de les aider serait en réalité de laisser prospérer une #agriculture_vivrière et de ne pas les obliger à avoir eux aussi des #cultures_d’exportation. Au lieu de ça, on maintient les rentes de pays exportateurs comme la France. Quand le gouvernement et d’autres parlent d’une perte de souveraineté alimentaire, ça renvoie en réalité à une baisse des exportations dans certains secteurs, avec un état d’esprit qu’on pourrait résumer ainsi : « Make French agriculture great again. » Depuis le Covid et la guerre en Ukraine, la souveraineté alimentaire est devenue l’argument d’autorité pour poursuivre des pratiques qui génèrent des catastrophes écologiques et humaines majeures.

    Nous n’avons donc pas en soi de problème d’#autonomie_alimentaire ?

    Ça dépend dans quel domaine. Les défenseurs d’un modèle d’exploitation intensif aiment à rappeler que notre « #dépendance aux importations » est de 70 % pour le #blé dur, 40 % pour le #sucre, et 29 % pour le #porc. Mais omettent de préciser que nos taux d’auto-approvisionnement, c’est-à-dire le rapport entre la production et la consommation françaises, sont de 123 % pour le blé dur, 165 % pour le sucre, et 99 % pour le porc. Ça signifie que dans ces secteurs, la production nationale suffit en théorie à notre consommation, mais que l’on doit importer pour compenser l’exportation. Il y a en réalité très peu de produits en France sur lesquels notre production n’est pas autosuffisante. Ce sont les fruits exotiques, l’huile de palme, le chocolat, et le café. On a aussi des vrais progrès à faire sur les fruits tempérés et la viande de #volaille, où l’on est respectivement à 82 et 74 % d’auto-approvisionnement. Là, on peut parler de déficit réel. Mais il ne serait pas très difficile d’infléchir la tendance, il suffirait de donner plus d’aides aux maraîchers et aux éleveurs, qu’on délaisse complètement, et dont les productions ne sont pas favorisées par les aides de la #Politique_agricole_commune (#PAC), qui privilégient les grands céréaliers. En plus, l’augmentation de la production de #fruits et #légumes ne nécessite pas d’utiliser plus de #pesticides.

    Que faire pour être davantage autonomes ?

    A court terme, on pourrait juste rebasculer l’argent que l’on donne aux #céréaliers pour soutenir financièrement les #éleveurs et les #maraîchers. A moyen terme, la question de la souveraineté, c’est : que va-t-on être capable de produire dans dix ans ? Le traitement de l’#eau polluée aux pesticides nous coûte déjà entre 500 millions et 1 milliard d’euros chaque année. Les pollinisateurs disparaissent. Le passage en #bio, c’est donc une nécessité. On doit remettre en état la #fertilité_des_sols, ce qui suppose d’arrêter la #monoculture_intensive de #céréales. Mais pour cela, il faut évidemment réduire certaines exportations et investir dans une vraie souveraineté alimentaire, qui nécessite de faire évoluer notre modèle agricole pour préparer l’avenir.

    https://www.liberation.fr/environnement/agriculture/la-vraie-souverainete-alimentaire-cest-faire-evoluer-notre-modele-agricol
    #agriculture_intensive #industrie_agroalimentaire

  • La #rémunération hors norme d’#Arnaud_Rousseau, président de la #FNSEA, à la tête du groupe #Avril

    L’émission de France 2 « Complément d’enquête », consacrée jeudi soir à la FNSEA, révèle le montant de la rémunération d’Arnaud Rousseau par sa société Avril : 187 000 euros en 2022. Sans compter ses autres revenus liés à ses multiples casquettes.

    Le chiffre est dix fois supérieur au revenu moyen des agriculteurs et agricultrices du pays. Président du conseil d’administration du groupe Avril et président du syndicat de la FNSEA, Arnaud Rousseau a touché en 2022 une rémunération supérieure à 187 000 euros de la part de la société spécialisée dans le colza et le tournesol. C’est ce que révèle l’émission de France 2 « Complément d’enquête », dans un long format consacré à la FNSEA, diffusé jeudi 29 février à partir de 23 heures (https://www.france.tv/france-2/complement-d-enquete/5714862-agriculture-pour-qui-roule-la-fnsea.html).

    Rapportée à une moyenne mensuelle, cette rémunération, dans laquelle sont inclus des jetons de présence et des avantages en nature – voiture et logement de fonction –, est équivalente à plus de 15 500 euros par mois. L’information de l’équipe de « Complément d’enquête » a été confirmée par le directeur juridique du groupe Avril. Il a toutefois été précisé à France 2 que « ce que perçoit Arnaud Rousseau est confidentiel ».

    Ce montant ne fait pas le tour des rémunérations d’Arnaud Rousseau, dont l’ensemble des revenus est, à l’évidence, encore supérieur. L’homme est en effet président de la FNSEA – où il touche des indemnités d’élu –, exploitant agricole à la tête de plusieurs structures bénéficiaires des aides publiques de la PAC – dont Mediapart révélait les montants l’an dernier –, vice-président de la chambre d’agriculture de la région Île-de-France, vice-président de la FOP (Fédération française des producteurs d’oléagineux et de protéagineux), et maire de sa commune.
    Des manœuvres pour empêcher la reconnaissance de maladies liées aux pesticides

    Dans son enquête, le magazine de France 2 révèle également comment la FNSEA a tenté de manœuvrer pour empêcher la reconnaissance de maladies liées aux pesticides. Au cours de réunions rassemblant expert·es et partenaires sociaux pour décider de la reconnaissance de maladies professionnelles agricoles, le syndicat majoritaire des exploitantes et exploitants agricoles s’est notamment opposé, en 2011, à la reconnaissance de la maladie de Parkinson et, en 2013, à la reconnaissance du lymphome non hodgkinien. L’une et l’autre seront tout de même reconnus respectivement en 2012 et en 2015.

    La reconnaissance de maladies liées aux pesticides permet aux victimes de toucher, via la MSA, la Mutuelle sociale agricole, des indemnités à vie. Plus il y a de maladies reconnues, plus les cotisations sociales des exploitantes et exploitants agricoles sont susceptibles d’augmenter. À ce jour, de nombreuses victimes sont obligées d’aller jusqu’en justice pour faire reconnaître leur maladie.

    https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/290224/la-remuneration-hors-norme-d-arnaud-rousseau-president-de-la-fnsea-la-tete
    #agriculture

    • Le groupe Avril, présidé par le patron de la FNSEA, carbure aux frais de l’État

      L’entreprise d’Arnaud Rousseau est devenue leader sur le marché des « #biocarburants ». Son or jaune, c’est le #colza. La société a prospéré grâce à une réglementation sur mesure et à un important #rabais_fiscal.

      Le 30 mars 2022, à quelques jours du premier tour de l’élection présidentielle, la #Fédération_nationale_des_syndicats_d’exploitants_agricoles (FNSEA) organise un « grand oral » des candidats à la fonction suprême à l’occasion de son congrès annuel qui se tient à Angers (Maine-et-Loire). Emmanuel Macron intervient, en vidéo, depuis son QG de campagne. Et il fait cette promesse : « Je voulais ici vous le dire très clairement. Le Crit’Air 1 sera attribué aux véhicules qui roulent en permanence au B100. C’était, je le sais, attendu. »

      Le #B100 ? C’est un #carburant fait d’#huile_de_colza. Les #poids_lourds roulant exclusivement avec ce produit vont donc obtenir la #vignette qui autorise à circuler dans les « #zones_à_faibles_émissions » (#ZFE) mises en place dans les grandes agglomérations pour limiter la pollution locale. Deux semaines plus tard, le 16 avril, l’arrêté paraît au Journal officiel. On est entre les deux tours de la présidentielle, il n’y a eu aucune consultation publique.

      La décision ne tombe pas du ciel. Elle est particulièrement favorable à une société étroitement liée à la FNSEA : Avril, quatrième groupe agroalimentaire français, qui a lancé trois ans et demi plus tôt l’Oleo100, un carburant B100. De la graine de colza qu’il achète auprès des coopératives de producteurs comme sur les marchés mondiaux, et qu’il fait passer dans ses usines de trituration, le groupe Avril tire à la fois un produit sec – ce qu’on appelle les tourteaux, destinés à l’alimentation animale – et une huile végétale. C’est cette huile qui fait tourner des moteurs Diesel.

      L’entreprise est présidée par Arnaud Rousseau, alors premier vice-président de la FNSEA et dans les starting-blocks pour succéder à sa présidente, Christiane Lambert – il prendra la tête du syndicat un an plus tard. L’attribution de la vignette vient compléter un arsenal règlementaire qui contribue directement aux bénéfices mirobolants du groupe : grâce à un important rabais fiscal et à la vente, en plus de son propre carburant, de « certificats » censés aider à la décarbonation des transports, le groupe Avril, via sa filiale Saipol, dégage des dizaines de millions d’euros de bénéfices sur un produit à la rentabilité hors normes. Loin, très loin, de ce que touchent réellement agricultrices et agriculteurs. Et sans que l’écologie y gagne.

      Le jour même de l’intervention d’Emmanuel Macron au congrès de la FNSEA, Arnaud Rousseau se réjouit de la nouvelle dans un communiqué de la FOP (Fédération française des producteurs d’oléagineux et de protéagineux), qu’il préside également à ce moment-là : « L’ensemble des acteurs de la filière française des huiles et protéines végétales se félicite de l’obtention de la vignette Crit’Air 1 pour le B100, carburant 100 % végétal », écrit-il.

      La mesure était, de fait, attendue. Une présentation commerciale de l’Oleo100 auprès de potentiels clients évoquait déjà, début 2021, la future vignette en indiquant « actions en cours pour Crit’Air 1 et classification “véhicule propre” ».

      Elle ne fait certes pas grand bruit mais certains s’en émeuvent. Le sénateur (Europe Écologie-Les verts) Jacques Fernique s’est étonné de cette décision discrétionnaire, prise au profit d’un seul produit. « Cette évolution réglementaire soudaine interpelle […] au sortir d’un premier quinquennat marqué par la tenue de la convention citoyenne pour le climat et à l’orée d’un second, placé, selon le président de la République, sous le signe d’une “méthode nouvelle” associant l’ensemble des acteurs et dont l’écologie serait “la politique des politiques” », dit-il dans une question adressée au Sénat le 14 juillet 2022.

      Répondant à nos questions, le service communication d’Avril le reconnaît : « La demande de classification Crit’Air 1 a été portée par les différentes associations professionnelles représentatives des industriels producteurs de B100, des constructeurs et des transporteurs ». On peut d’ailleurs relever sur le site de la Haute Autorité pour la transparence de la vie publique (HATVP) que le groupe déclare avoir mené des actions de lobbying auprès de décideurs sur le sujet.

      Côté producteurs de B100, ces associations, précise-t-il, ce sont « Estérifrance, le syndicat français des producteurs de biocarburants de type Ester méthylique d’acide gras [type dont fait partie l’huile de colza – ndlr] », et « l’European Biodiesel Board, une association européenne visant à promouvoir l’utilisation des biocarburants dans l’UE ». La filiale Saipol d’Avril fait partie de l’une et de l’autre.
      Un « biocarburant » polluant

      L’an dernier, le député (MoDem) Mohamed Laqhila posait une question similaire à l’Assemblée nationale, s’interrogeant sur la différence de « traitement » entre le B100 et le HVO, alors même que ce dernier « est homologué dans de nombreux pays européens depuis plusieurs années ».

      Le HVO est un autre carburant alternatif qui peut être composé, celui-là, à partir d’huiles usagées, de graisses animales et de déchets. Autrement dit, sans recourir aux terres agricoles. Mais les véhicules roulant au HVO, eux, ne sont pas autorisés dans les centres-villes classés ZFE.

      Pourquoi une telle distinction ? Au regard de ce que dit la science, elle n’a pas lieu d’être. « Dans un moteur, la combustion du B100 se traduit par plus de NOx [oxydes d’azote – ndlr] qu’un carburant fossile, explique le chercheur Louis-Pierre Geffray, de l’institut Mobilités en transition. Ces NOx supplémentaires sont normalement traités par le système antipollution du véhicule, mais il n’y a aucune raison objective qui explique pourquoi, en usage réel, ce biocarburant est classé Crit’Air 1, à la différence du HVO et du diesel qui sont restés en Crit’Air 2. »

      AirParif, qui observe la qualité de l’air en Île-de-France, est arrivé aux mêmes conclusions en comparant les émissions du diesel et des carburants alternatifs.

      Interrogé sur le sujet, le ministère des finances – auquel est maintenant rattachée la Direction générale de l’énergie et du climat qui avait signé l’arrêté en question – indique que le B100 permet des réductions d’autres émissions. Et que si le HVO est exclu, c’est qu’il n’y a pas de moteur permettant de s’assurer qu’« il ne sera utilisé que du carburant HVO ».

      Ce traitement favorable au carburant issu de l’huile de colza n’est pas anecdotique. Il fait partie du « business model » d’Avril, mastodonte présent dans dix-neuf pays, au chiffre d’affaires, en 2022, de 9 milliards d’euros. Depuis longtemps, le groupe développe une stratégie d’influence auprès de la puissance publique comme auprès des gros acteurs du secteur, afin de s’assurer une position hégémonique sur le marché.

      Comme Mediapart l’avait écrit, une importante niche fiscale était déjà favorable, au cours des années 2000 et 2010, à un produit du groupe Avril – qui s’appelait alors Sofiprotéol –, le diester.
      De niche fiscale en niche fiscale

      Les bonnes affaires avec la bénédiction de l’État ne se sont pas arrêtées là. Dès son homologation par arrêté ministériel, en avril 2018, le B100 a bénéficié d’un énorme rabais fiscal. Cette année-là, Avril déclare à la HATVP l’action de lobbying suivante : « défendre les intérêts de la filière française lors des révisions du dispositif fiscal d’incitation à l’incorporation de biocarburants ».

      Sept mois après l’arrêté ministériel, Saipol annonçait le lancement de l’Oleo100. La société est la première sur le coup. Les concurrents n’arriveront que dans un second temps - un an plus tard pour la coopérative Centre ouest céréales, trois ans plus tard pour Bolloré. Eux et une poignée d’autres resteront minoritaires sur le marché.

      Cette ristourne fiscale donne un sacré avantage au B100 sur les autres carburants : il n’est taxé qu’à hauteur de 118,30 euros par mètre cube. Le produit alternatif HVO, commercialisé entre autres par TotalEnergies, Dyneff ou encore le néerlandais Neste, est imposé au même niveau que le diesel issu du pétrole, soit une taxe à hauteur de 607,5 euros par mètre cube.

      Pour l’État, la perte est substantielle. Elle pèse 489,20 euros par mètre cube de B100. Pour l’année 2023 où la filiale Saipol d’Avril, a vendu, selon ses propres chiffres, 185 000 mètres cubes d’Oleo100, ce manque à gagner dans les recettes publiques s’élève à 90,5 millions d’euros.

      Le ministère des finances dément avoir mis en place un traitement privilégié. « Aucune mesure favorisant un groupe n’a été prise. » Bercy explique la différence de taxation entre B100 et HVO par leurs caractéristiques chimiques. Le B100 est « un carburant qui ne peut être utilisé qu’avec des moteurs dédiés, et dans le cadre de flottes captives de camions spécifiquement conçus pour ce carburant. Son utilisation est donc particulièrement encadrée et restrictive ». À l’inverse, le HVO pouvant être utilisé dans différents types de moteur, le contrôle de sa bonne utilisation n’est pas possible.

      Au total, selon les chiffres d’Avril, la société présidée par Arnaud Rousseau a vendu environ 360 000 m³ d’Oleo100 depuis 2020. Ce sont plus de 176 millions d’euros qui ne sont pas allés dans les caisses de l’État. Et ce trou dans les recettes fiscales pourrait encore se creuser : selon nos informations, les projections du groupe continuent de suivre une courbe ascendante, avec l’estimation que le marché du B100 avoisinera les 600 000 m³ en 2025.

      Même si le B100 est moins émetteur de gaz à effet de serre que le gazole ordinaire, l’apport écologique de ce développement n’est pas avéré. « La fiscalité très avantageuse sur le B100 se traduit par un fort développement de ce carburant, au détriment de l’incorporation de renouvelables dans le diesel classique B7 vendu à la pompe aux particuliers, fait valoir le chercheur Louis-Pierre Geffray. Car, sur l’ensemble des carburants, l’incorporation d’énergies issues de productions agricoles en concurrence avec l’alimentation humaine est limitée par le cadre réglementaire européen à 7 %, et ce seuil a été atteint en France. » Au bénéfice du B100, donc, et au détriment des autres carburants. « Ce qui ne se justifie que partiellement en termes de vertu environnementale », souligne le chercheur.

      Dans une note publiée l’année dernière par l’Institut du développement durable et des relations internationales (Iddrri), ce chercheur et deux de ses collègues relèvent en outre que la culture de colza est très consommatrice de produits phytosanitaires. C’est « la deuxième culture française la plus traitée » aux pesticides, et elle absorbe en moyenne 170 kilos par hectare d’engrais azoté, estiment-ils, soulignant par ailleurs que la consommation française d’huile de colza est très dépendante des importations.

      Fin 2021, la fiscalité du B100 a d’ailleurs été étrillée par la Cour des comptes, qui avait mis en exergue, dans un rapport sur le développement des biocarburants, des taux d’imposition « sans aucune rationalité », conduisant à un système « qui n’est pas conforme à la réglementation européenne sur la taxation des produits énergétiques ». De fait, le niveau d’imposition du B100 est plus de deux fois inférieur au minimum fixé par la directive européenne sur la taxation de l’énergie pour les équivalents au gazole routier.

      La stratégie de maximisation du quatrième groupe agroalimentaire français ne s’est pas arrêtée là. Ces dernières années, il a étendu son emprise du côté des acheteurs de carburant. C’est ainsi qu’il a noué des partenariats avec des constructeurs automobiles – Renault Trucks, Volvo Trucks, Man, Scania –, comme l’écrivait Transport Infos l’an dernier, mais aussi signé des contrats avec des sociétés de la logistique et des transports. L’objectif ? garantir des débouchés pour son carburant, en concevant des modèles de véhicules qui ne peuvent rouler qu’au B100, et en incitant des transporteurs à se tourner vers ces nouveaux poids lourds.

      Depuis le projet de loi de finances (PLF) 2020, une nouvelle niche fiscale est apparue : l’achat de tels véhicules, pour les entreprises qui en font l’acquisition, entraîne, suivant le poids de l’engin, une déduction d’impôt de 5 à 15 %. C’est ce que le secteur appelle le « suramortissement ».
      Le bénéfice de Saipol, une info « confidentielle »

      Il est, enfin, encore une politique publique qui contribue directement aux juteuses affaires du groupe Avril sans pour autant contribuer efficacement à la décarbonation du secteur pour laquelle elle a été conçue. C’est celle des « certificats ». Ce système complexe, mis en place en 2019 – au départ pour pousser le secteur des carburants vers la décarbonation –, est un marché secondaire, où ne s’échangent plus des matières premières, mais des tickets permettant d’éviter des pénalités de l’État. Un mécanisme semblable aux droits à polluer pour le CO2.

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      Le marché des certificats

      Le marché des certificats permet à un fournisseur de gazole qui a dépassé le seuil obligatoire d’incorporation de 9 % d’énergie renouvelable dans son produit de vendre l’équivalent de son surplus sous forme de certificats. C’est le cas de la filiale Saipol d’Avril, dont le produit Oleo100 est constitué à 100 % de renouvelable, et qui peut donc vendre des certificats pour 91 % de ses volumes.

      À l’inverse, le fournisseur n’ayant pas atteint ce seuil des 9 % achète les certificats qui lui permettent de combler virtuellement l’écart. S’il ne le fait pas, des pénalités, plus douloureuses pour ses comptes, lui sont imposées par l’État. C’est la taxe incitative relative à l’utilisation d’énergie renouvelable dans le transport (Tiruert).

      Le principe de ce mécanisme, non réglementé et opaque, est de donner aux fournisseurs abondants en renouvelables une assise financière confortable de façon à ce qu’ils poursuivent dans cette voie, afin d’obtenir, sur l’ensemble de la production française de carburant le mix attendu par les directives européennes. Cela génère donc pour eux deux sources de revenu : la vente du biocarburant en lui-même, et la vente des certificats.

      Le premier est indexé sur le prix du gazole, vendu quelques centimes au-dessous. Pour les seconds, les prix ne sont pas publics. Selon nos informations, ces certificats s’échangeaient l’année dernière autour de la coquette somme de 900 euros par mètre cube de carburant renouvelable – en ce début d’année, le prix était descendu à 700 euros.

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      La filiale d’Avril vend à la fois son produit Oleo100 et des certificats qui lui sont associés. C’est ainsi qu’elle dégage, sur son carburant, une marge incongrue. Celle-ci pèserait, pour la seule année 2023, entre 110 et 150 millions d’euros (voir en annexes notre calcul à partir du prix de vente du carburant, du coût de production et de la vente des certificats).

      Si l’on retient le bas de la fourchette, cela donnerait un taux de marge d’environ 29 %. Soit une rentabilité digne de l’industrie du luxe - en 2023, le taux de marge de LVMH, qui a publié ses chiffres en début d’année, était de 26,5 %...

      Comment justifier ce profit colossal que les contribuables financent pour partie ? Contacté, Arnaud Rousseau ne nous a pas répondu. Il n’est que le président « non exécutif » du groupe, nous précise le groupe Avril, lequel nous indique que le montant des bénéfices et du chiffre d’affaires de la filiale Saipol en 2023 est une information « confidentielle ».

      À l’évidence, l’activité biocarburants, avec ces dispositifs et traitements fiscaux particuliers, est la locomotive du groupe. En 2022, où le chiffre d’affaires d’Avril avait fait un bond à 9 milliards d’euros, la filiale Saipol dégageait, selon les derniers comptes disponibles, 135,5 millions d’euros de bénéfices. Ce qui représentait plus de 50 % du résultat net du groupe Avril.

      Depuis le début du mouvement de colère du monde agricole, l’un des principaux arguments d’Arnaud Rousseau pour maintenir la pression et obtenir la levée d’un maximum de contraintes pour le secteur est d’invoquer la fonction nourricière de l’agriculture et la nécessité de préserver la souveraineté alimentaire de la France.

      Il l’a répété sur France 2, sur RTL et sur France Inter ces dernières semaines : « Notre objectif, c’est de produire pour nourrir. » Devant les grilles du parc des expositions Paris Expo, Porte de Versailles à Paris, peu avant l’ouverture du Salon de l’agriculture samedi matin, où il réclamait « une vision » et « des réponses » du chef de l’État, le patron de la FNSEA le disait encore : « Produire pour nourrir, pour nous ça a du sens. La souveraineté alimentaire et faire en sorte que dans ce pays on continue à produire une des alimentations les plus sûres du monde, dont on est fiers […], tout cela, ça a du sens pour nous. »

      L’activité phare du mastodonte qu’il préside bénéficie pourtant déjà des attentions du gouvernement, et n’a rien à voir avec le fait de nourrir la population : elle fait tourner des bus et des camions, et elle rapporte énormément d’argent.

      https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/290224/le-groupe-avril-preside-par-le-patron-de-la-fnsea-carbure-aux-frais-de-l-e
      #fiscalité #fisc

  • Award-winning documentary ‘#The_Territory’ recounts the struggles and resilience of Indigenous Brazilians

    The story of #Bitaté-Uru-Eu-Wau-Wau and #Ivaneide_Bandeira, known as #Neidinha_Suruí, and their fight against deforestation in the Amazon, told in the documentary “The Territory,” gained international recognition, and now an Emmy Award.

    On January 7, the film won in the category Outstanding Achievement in Documentary Filmmaking at the Creative Arts Emmy Awards, which gives awards in technical and special categories to series and programs.

    On the stage alongside Neidinha and Bitaté were the Indigenous activist Txai Suruí, the executive producer and Neidinha’s daughter, with the American director of the film, Alex Pritz, and other team members.

    To receive the prize in Los Angeles, 63-year-old Neidinha endured over 40 hours of travel from her territory in Rondônia state to California.

    “When they announced [that we won], we didn’t believe it. We were shocked. We couldn’t cry because we were in shock,” the Indigenous activist recalled.

    The documentary, available for streaming on Disney+, has won several awards since its release. Before the Emmy, it won the Audience and Special Jury awards at the 2023 Sundance Festival.

    For Neidinha, the awards served to “burst a bubble”:

    It is a victory for our struggle, for the struggle for human rights and for nature, for the defence of the forest against deforestation, it’s the fight against the marco temporal [time marker, cut-off date for officially recognizing Indigenous lands]. We’ve come a long way. [Now] we see people on the plane talking about the film, wanting to know about our struggle. People we had never met talking about our cause and celebrating. Sometimes films like this reach a niche interest, a bubble, but ‘The Territory’ let us burst that bubble.

    Among the producers of the film is filmmaker Darren Aronofsky, director of “The Whale” (2022).
    Indigenous team

    “The Territory” recounts the struggle of the Indigenous Uru-Eu-Wau-Wau people in Rondônia state in northern Brazil to defend the territory against invasions from land grabbers and farmers.

    It shows the Indigenous people’s apprehension in the face of dangers to the forest and the communities, as well as moments from their daily life in the village. Some of the most powerful moments are scenes with the leader Ari Uru-Eu-Wau-Wau, who was murdered in April 2020.

    The recordings took place during one of the darkest periods in Brazil’s recent history, during the government of Jair Bolsonaro (2019-2022), whose policies were considered anti-Indigenous. He vowed not to recognize any more Indigenous territories during his presidency.

    During the Bolsonaro administration, there was a big rise in the number of invasions of Indigenous territories across the country, as well as a dismantling of environmental policies. In Rondônia, where the film is set, Bolsonaro received 70 percent of valid votes in the last election, in 2022, which was won nationally, however, by the incumbent, President Luiz Inácio Lula da Silva.

    The piece was filmed during the COVID-19 pandemic, which in Brazil alone caused more than 700,000 deaths. As it was not possible to enter Indigenous areas during this period, Indigenous people themselves carried out the filming.

    Neidinha told Amazônia Real that the recording equipment was left at the territory’s border in plastic bags, and everything was disinfected to avoid risks of disease. The Indigenous people received online guidance on how to use the equipment, as well as receiving instructions on what to film.

    “Bitaté [the Indigenous leader] said, ‘Look, we know how to do better than that, so let’s do it our way,’” Neidinha remembered.

    “The Territory” recounts threats and pressures suffered by the Uru-Eu-Wau-Wau Indigenous people who, lacking state assistance, decided to create a group to defend their territory from outside threats.

    The story’s protagonists are the young Indigenous leader Bitaté-Uru-Eu-Wau-Wau and the activist Neidinha, whom Bitaté considers his second mother. Neidinha recalled that neither she nor Bitaté imagined that the documentary would get this far:

    Bitaté once told me: ‘Mum, I didn’t think people would even watch us. I didn’t think our film would come to anything.’ We thought it would be just another documentary, that for us it would be important, but maybe not for the rest of the world. And it was great because National Geographic bought the film and we were amazed. We travelled around several countries presenting the documentary, giving lectures, talking about the Indigenous cause, in the middle of the Bolsonaro period and the pandemic.

    Celebration

    Txai Suruí, her daughter and an energetic activist in Indigenous movements, wrote in an Instagram post that the Emmy win was the “celebration and recognition of the voices and narratives defending the territories, [and of] the resistance and struggle that permeates the lives of Brazil’s Indigenous peoples”.

    The film’s director, Alex Pritz, also commented on the Emmy win, to the outlet Deadline:

    To receive the recognition of our peers, alongside such an incredible group of nominees, is an unbelievable honour. We share this award with communities around the world who are standing up in defence of our planet’s continued habitability and fighting for a better future.

    Bitaté-Uru-Eu-Wau-Wau also posted on Instagram:

    We won, my people deserve it, especially my community, my Uru-Eu-Wau-Wau people, my Pau Association, [and] the work is not only mine, it’s ours! I’m very happy about it, representing my leadership, and that’s it. We won and there is more to come in the future

    Being the son of a mother from the Juma people and a father from the Uru-Eu-Wau-Wau people, Bitaté goes between two territories, one in Rondônia and the other in Amazonas state. He is the grandson of Aruká Juma, one of the last of his ethnic group. He became the leader of his people at a young age. In 2021, as a member of the Indigenous group that was part of the Jovens Cidadãos (Young Citizens) blog, he wrote about his relationship with his grandparents.

    Jovens Cidadãos is a project created by Amazônia Real, started in 2018, which led to a section on the outlet’s website, in which the young leaders themselves recounted their stories.
    Inspiration for life

    Neidinha is one of the founders of the Kanindé Association for Ethno-environmental Defence, one of Brazil’s most well-recognized organizations working for Indigenous peoples’ rights. She was born in Acre state and arrived in Rondônia at about six months old. The move came about because her father began working in a rubber plantation inside what is now the Uru-Eu-Wau-Wau Indigenous Land, hence the proximity to the Indigenous people of that ethnic group.

    She left the territory at the age of 12 to study. Through magazines, she learned about the old American Far West, and says she sees the same kind of things being repeated in Brazil:

    In these stories, the Indigenous people were always killed and the colonels were the ‘heroes’ for having advanced to the West, which for me is very similar to the advance of colonization in Brazil. The advance into the Amazon is no different to the American Far West.

    The activist says that the success of “The Territory” brought more work, but also threats. However, she points out that the film does not depict heroes or villains.

    I didn’t want a film where we’re the hero and the other side is the villain. We wanted the reality. The film manages to see both the pressure on the Indigenous people and also the pressure on the poor people, who are used [and] manipulated to grab land for the powerful to [then] take.
    It has strengthened my certainty that I am not wrong in my struggle, because there are moments where you are so threatened, so pressured, that you think about backing off, but the reactions of people around the world have strengthened our convictions.

    https://globalvoices.org/2024/02/29/award-winning-documentary-the-territory-recounts-the-struggles-and-res

    #peuples_autochtones #film #documentaire #film_documentaire #Brésil #territoire #forêt #déforestation #résilience #Amazonie #forêt_amazonienne #Txai_Suruí #Bitaté

  • #Destruction des #haies : la grande accélération

    Malgré les règlementations et les subventions, le bocage continue de disparaître et de se dégrader. Pour éclairer le sujet de ce bocage qui régresse, le média Splann ! a mené l’enquête dans une partie du #Trégor, au nord-ouest de la #Bretagne.

    Le bocage joue pourtant un rôle clé et structurant dans le paysage et la qualité environnementale des espaces cultivables.

    Loin d’être des alliées les haies sont devenues des plaies pour une partie des agriculteurs. Pour entretenir un bocage et des haies, il faut de la main-d’œuvre et des #savoir-faire parfois perdus. Autrefois faisant l’usage de limite entre parcelles, la haie a perdu son sens avec les nouvelles formes d’#agriculture. En Bretagne en 10 ans les exploitations ont grossi de 14ha en moyenne.

    « La disparition des haies est une conséquence de la disparition des élevages laitiers, de l’agrandissement des exploitations et de l’intensification du #modèle_agricole. 159,2km de haies détruits en 20 ans sur un territoire sensibles aux algues vertes et exceptionnel par son fleuve sauvage : la #vallée_du_Léguer. »

    https://www.radiofrance.fr/franceinter/podcasts/la-terre-au-carre/la-terre-au-carre-du-mercredi-28-fevrier-2024-8031910
    #bocage #France #agriculture_intensive #élevage

    • En Bretagne, la #dégradation du bocage continue

      Le bocage est globalement en mauvais état. D’importants arrachages de haies ont lieu en Bretagne dans des zones jusque-là préservées, en raison de l’agrandissement des fermes.

      – L’érosion qualitative du bocage se poursuit malgré les investissements publics.
      - Les zones bocagères du Centre Bretagne subissent d’importants arasements de haies sur talus.
      – La disparition des haies est une conséquence de la disparition des élevages laitiers, de l’agrandissement des exploitations et de l’intensification du modèle agricole.
      - 159,2 km de haies détruits en vingt ans sur un territoire sensible aux algues vertes et exceptionnel par son fleuve sauvage : la vallée du Léguer.

      « Quand ils ont repris mes terres, ils ont tout rasé, mis tout ça « propre ». Il y avait quatre parcelles, il n’y en a plus qu’une. J’avais des beaux chênes, c’est moi qui les avais élevés, quand même. Ça m’a fait mal au ventre, je peux te dire. » Maurice, paysan retraité dans le Goëlo (22), est amer de constater la dégradation du paysage dont il a eu la charge. C’est loin d’être un cas isolé. Les paysages et la biodiversité du bocage du nord-ouest de la France s’appauvrissent à une vitesse qui impressionne même les chercheurs.

      « C’est une période de rupture paysagère. On a été surpris par l’ampleur, l’intensité de cette transformation des paysages, qui est identique quelle que soit la zone étudiée » (— Thibaut Preux, auteur d’une thèse sur la transformation du bocage normand, et actuellement en travail d’étude dans le Centre Bretagne.)

      Les haies continuent de subir un déclin de grande ampleur. Pire : le rythme s’accélère depuis la dernière décennie. Chaque année, environ 23.500 km de haies disparaissent en France. 70 % ont été rayées de la carte depuis les remembrements des années 1950. La tendance n’est pas près de s’inverser : « La disparition et la dégradation des haies sont des conséquences inéluctables de l’évolution de notre modèle agricole, explique le rapport du Conseil général de l’alimentation, de l’agriculture et des espaces ruraux (CGAAER), remis au ministère de l’Agriculture en avril 2023. L’intensification des productions, la régression de l’élevage à l’herbe, la baisse constante du nombre d’agriculteurs avec en corollaire l’augmentation de la taille des exploitations ont fait des haies une contrainte pour l’exploitant agricole. » Cette analyse est partagée par les chambres d’agriculture de Bretagne qui désignent « l’évolution du parcellaire et des exploitations – reprises de parcelles, échanges, agrandissements d’entrée de champ » parmi les causes des arrachages.

      Pourtant, le déclin de la haie revient à perdre une alliée précieuse face à l’effondrement de la biodiversité et aux conséquences du dérèglement climatique : inondations catastrophiques, sécheresses interminables, pollution de l’eau, canicules étouffantes, autant de catastrophes accentuées par l’arrachage des talus et des haies. À l’heure où le pays se prépare à affronter un réchauffement de +4 °C, préserver le bocage est crucial tant pour l’agriculture que pour l’ensemble de la société.

      En Bretagne, la qualité du bocage s’érode toujours

      Face à cet appauvrissement du paysage, la Région Bretagne a lancé dès 2007 un programme de replantation : Breizh Bocage. En Loire-Atlantique, c’est le cadre régional « Liger Bocage et Agroforesterie » qui a été lancé en 2021. Les efforts en termes de plantations et de subventions sont indéniables (6.500 km de haies plantées depuis 2008 par la Région Bretagne). Mais le rapport du CGAAER souligne la limite des politiques publiques en faveur du bocage : « Si l’accent est souvent mis sur la création de nouvelles haies, il convient avant tout de mieux protéger le linéaire existant ».

      Le nombre de kilomètres de haies en Bretagne administrative semble stabilisé depuis 2020. Mais il faut nuancer cette avancée. Le bocage, ce ne sont pas que des haies, mais aussi des talus sans arbres et des lisières de forêt. Et quand on tient compte de tous ces éléments, on note un recul de 4 % du bocage.
      Compenser une haie fonctionnelle est impossible

      Le problème, c’est que la plupart des chiffres raisonnent en linéaires, c’est-à-dire en longueur de haies. Ils ne tiennent pas compte de la qualité effective des haies : le bocage breton est en très mauvais état. 80 % des haies sont mal entretenues [lire notre article « Le bocage, lourde charge pour les agriculteurs »], et dépérissent. C’est même la principale cause de l’érosion du bocage, avant les arasements. L’autre biais, de taille, est que la politique agricole commune (PAC) considère dans certains cas qu’on peut remplacer une haie existante par une jeune plantation : un exploitant peut donc arracher autant qu’il veut, tant qu’il compense en replantant le même équivalent linéaire un peu plus loin.

      « Un linéaire qui fonctionne bien, dense, avec des arbres anciens, on ne le compense pas avec une jeune haie avec des arbres de deux ans le long d’un bâtiment », explique Julie Le Pollès, technicienne bocage au syndicat de la baie de Douarnenez (Epab, 29). Faute de suivi et d’entretien [lire « Champ libre aux destructions »], de nombreuses haies issues de compensations périclitent : « Si ce n’est pas accompagné, on peut avoir un taux de reprise [survie des plants, NDLR] de 20-30 %. Il n’y a pas d’attente qualitative, on n’est que sur du quantitatif, et c’est là qu’il y a un problème. »

      Rupture paysagère en Centre Bretagne

      En 2022, à Spézet (29), quatre kilomètres de haies sur talus ont été arrachés et « compensés », le tout dans une zone très bocagère. Cet épisode suscite une forte indignation d’une partie de la population en Centre Bretagne, qui s’est organisée en collectifs « Kleuzioù » (« talus », en breton) pour défendre ce patrimoine paysager.

      Le sujet est sensible, car dans cette partie de la Bretagne, nombre de fermes laitières cessent leur activité et partent à l’agrandissement des exploitations voisines, faute de jeunes repreneurs. « La filière est en train de se restructurer à une vitesse grand V, parce qu’elle est pilotée de plus en plus par les industries laitières, notamment les grands groupes comme Lactalis, ou les grandes coop’ comme Agrial…, explique l’universitaire Thibaut Preux. Il est très probable que la restructuration de la filière ait des conséquences sur les paysages et notamment sur le maintien des particularités que sont les bocages, le maintien des prairies permanentes, et sur la qualité de l’eau. »

      Les disparités sont fortes entre les terroirs bretons. Dans des secteurs où le bocage a déjà été simplifié depuis les années 1970, on note peu d’évolution. Par endroits, le gain en termes de linéaires de haie est notable, grâce à Breizh Bocage : sur le bassin versant de Douarnenez, classé bassin algues vertes, une soixantaine de kilomètres de haies environ a été gagnée, selon les estimations fournies par la technicienne Julie Le Pollès.

      La dynamique est tout autre au centre de la péninsule : des Monts d’Arrée au Kreiz Breizh en passant par le Sud-Trégor, où le maillage de haies sur talus est encore dense, l’érosion qualitative récente et rapide du bocage ne fait aucun doute.

      De la source du Léguer à son embouchure, 159 km de haies détruites en vingt ans

      Difficile, à l’échelle de la Bretagne, de savoir combien de haies et talus ont ainsi disparu. Des associations, comme Eau et Rivières de Bretagne et le site Sentinelles de la Nature, s’emploient à recenser celles dont elles ont connaissance, sans parvenir à une vision exhaustive. Splann ! s’y est attelé dans une partie du Trégor, autour de la baie de Lannion, sur le territoire du Sage, un document qui élabore la stratégie locale en matière de gestion de l’eau. Le résultat est net : 159,2 km de linéaire bocager ont été détruits entre 2003 et 2023. Sollicités sur ces chiffres, ni Lannion-Trégor Communauté, ni Guingamp-Paimpol Agglomération n’ont répondu à nos questions.

      2015 : année catastrophique pour le bocage

      Point culminant des arrachages en France : la catastrophique période 2014-2016, juste avant l’entrée en vigueur de la nouvelle PAC (Politique agricole commune). L’Europe décide de passer les haies en « surfaces non-agricoles » et d’interdire leur arrachage, tout en précisant qu’elles restent éligibles aux aides. Il s’ensuit une certaine confusion : de nombreux agriculteurs s’attendent à ce que les haies diminuent les subventions auxquelles ils ont droit, qui sont calculées en fonction de la taille de leurs parcelles. De peur que leurs haies soient sanctuarisées et qu’ils ne puissent plus y toucher, de nombreux agriculteurs préfèrent les faire disparaître avant qu’elles ne figurent sur les cartes. Cette nouvelle PAC, qui avait pour objectif de protéger les haies, a finalement entraîné beaucoup de destructions.

      Combien de kilomètres de haies ont été détruits à cette période ? Difficile à dire, d’autant plus que des haies ont été gommées des cartes : les allers-retours entre services et les sous-déclarations faites par des agriculteurs ont « abouti à une forte sous-estimation du linéaire de haies », soit « plus de 30 % des linéaires qui ne sont pas protégés », estime l’association de promotion de la haie Afac-Agroforesterie dans un rapport consacré à cette mesure de « protection des haies » de la PAC. « Ils n’auraient pas interdit l’arrachage des haies, ça s’en serait pas arraché la moitié », rapporte ainsi un agriculteur, cité dans la thèse de Léo Magnin, consacrée à l’application des Bonnes conditions agricoles et environnementales (BCAE 7).
      « On ne sait pas combien de haies ont été détruites »

      Aujourd’hui, le bocage est suivi par des techniciens qui travaillent pour des collectivités locales ou syndicats de bassin versant. Suivant leurs fiches de poste et agréments, ils sont chargés de déployer les plantations du programme régional Breizh Bocage, de conseiller les agriculteurs qui souhaitent « déplacer » une haie (comprendre : « détruire » et « compenser »), et d’observer l’évolution de la maille bocagère sur l’ensemble du territoire qu’ils couvrent. Mais la tâche est ardue : obtenir des chiffres fiables et actualisés est presque impossible.

      Les données cartographiques, malgré un travail d’amélioration en cours, sont incomplètes et erronées, notamment parce que les services de l’État ont eu recours, pour identifier les éléments bocagers, à l’aide de photos aériennes, à des « travailleurs du clic » à l’étranger. Les Directions départementales des territoires et de la mer (DDTM) ont une vue d’ensemble sur les dossiers d’arrachages déclarés, mais les techniciens bocage locaux, bien souvent, n’y ont pas accès. « On ne sait pas combien de linéaire a été détruit, déplore Gwenaëlle*, technicienne bocage en Bretagne-Sud. À chaque fois on redemande à la DDTM pourquoi les arasements dont ils ont connaissance ne sont pas numérisés, on ne comprend pas comment est traité ce volet-là. »

      Aux techniciens de se débrouiller seuls pour obtenir des données sur les évolutions du maillage bocager de leur territoire, de mener leur propre travail de cartographie, très chronophage. « On n’est pas aidés par la DDTM, et ce n’est pas un euphémisme », appuie Erwan*, technicien bocage dans une collectivité, qui affirme être parvenu à obtenir, « par des chemins détournés », un jeu de données cartographiques détenu par les services de l’État. « Il y a un verrou de la part de la DDTM pour ne pas donner ça aux opérateurs de terrain », constate-t-il. Julie Le Pollès, technicienne à Douarnenez, prend l’exemple de son territoire, où la DDTM aurait consenti à donner le nombre de dossiers traités, mais pas les emplacements précis des linéaires : « Ça complique le suivi du maillage bocager. On estime que 14 km de haies ont été détruits depuis 2015, dont 9 qui étaient déclarés à la PAC. On sait qu’on a 1,7 km de compensé, mais le reste on n’en sait rien. » Contactées par Splann !, aucune des DDTM de Bretagne administrative n’a répondu à nos questions.
      « Les arasements non déclarés seraient le plus gros des arasements »

      « Sans inventaire en temps réel, c’est compliqué de dire que le bocage est stabilisé, entre ce qui est détruit et ce qui est créé, commente Ronan*, technicien bocage dans le Finistère. Si ça se trouve, il y a deux fois plus de linéaires qui ont été arasés et on ne le sait pas, en fait. » Le suivi du bocage est encore plus ardu quand les arrachages sont faits sans déclaration. Par exemple, dans le bassin versant de l’Aulne, un comptage effectué par un naturaliste pour l’association Bretagne Vivante a recensé au moins 55 km de haies détruits dans seulement six communes allant de Saint-Rivoal à Scrignac entre 2005 et 2022. D’après nos informations, la grande majorité n’aurait pas fait l’objet de déclaration ni de compensation.

      À titre de comparaison, le syndicat de bassin versant a planté une trentaine de kilomètres de haies depuis 2013, sur un territoire à cheval sur 49 communes. Bien au-dessous des destructions répertoriées sur une fraction de son territoire. « Les arasements non déclarés et que personne ne voit, je dirai que c’est le plus gros des arasements qui existent. Donc, ça reste inconnu à tous », poursuit Ronan, le technicien bocage. « C’est trop tard, on ne reviendra pas en arrière, assène Maurice, l’exploitant retraité du Goëlo (22). Et comme il y a de moins en moins de paysans, et qu’il va continuer à y en avoir de moins en moins, il y aura encore des regroupements d’exploitations, et y’aura l’arasement des talus automatiquement. Ça, il ne faut pas se voiler la face. »

      * Les prénoms ont été modifiés.

      https://splann.org/enquete/bocage/degradation-bocage-continue

  • Face au manque de neige, les habitants font revivre les stations délaissées

    Alors que la neige manque et que les stations de ski ne sont plus rentables, des habitants du massif de la Chartreuse tentent de faire revivre, sous forme associative, celles de leur village.

    « C’est une saison noire… ou plutôt une saison verte ! » La situation n’est pas réjouissante, mais Pascual Lacroix garde son sens de l’humour. En pleines vacances de février, l’herbe est détrempée sur les pentes de la station de ski de Saint-Hilaire-du-Touvet, dans le massif de la Chartreuse (Isère), parsemée ça et là de petits monticules de neige. Les flocons tant espérés ne sont jamais vraiment tombés, et les températures, bien trop douces, ont vite entamé les quelques centimètres de poudreuse.

    Pourtant, tout était prêt. Depuis des mois, Pascual Lacroix et les autres bénévoles de l’association Ag’Hil, Agir pour la station de Saint-Hil’, ne comptaient pas leurs heures, en dehors de leurs horaires de travail pour certains, les soirs, les week-ends, pour tout installer : dameuses remises d’aplomb, téléskis en place, abords des pistes débroussaillés, planning des postes programmé. L’association s’est constituée au printemps 2023, bien déterminée à rouvrir la station de ski pour la saison 2023-2024.

    Fin 2021, la station de ski (11 pistes et 5 téléskis) était mise à l’arrêt après de gros éboulements ayant détruit en grande partie le funiculaire de Saint-Hilaire-du-Touvet. Première infrastructure touristique de la commune du Plateau-des-Petites-Roches, le funiculaire permettait de financer le fonctionnement de la station de ski, « structurellement déficitaire », explique la maire de la commune, Dominique Clouzeau, les deux infrastructures étant sous régie municipale. « Après les éboulements, on a dû se résoudre à licencier les trois salariés de la régie, et à tout mettre en pause. »

    « Il fallait être un peu fous »

    Quand la question de rouvrir ou non la station de ski s’est posée, avec un funiculaire toujours à l’arrêt, le constat de la commune fut sans appel : impossible de mobiliser les 150 000 euros que coûterait l’ouverture de la station sur la saison hivernale, alors que l’enneigement est de plus en plus incertain. Une habitante du village, Perrine Broust, a malgré tout écrit une lettre ouverte à la municipalité, qui a réuni « 200 signatures en vingt-quatre heures », se souvient la quarantenaire.

    Petit à petit, l’idée d’une structure associative pour reprendre la gestion des remontées mécaniques, « utopique au début », fait son chemin. Même si les défis, notamment administratifs et financiers, sont énormes : « Il fallait être un peu fous pour faire ça », rient Perrine et Pascual. « Mais nous, on a skié ici, on a appris à nos enfants à skier ici. La station, c’est un lieu de convivialité essentiel, on ne voulait pas perdre ça. »

    En quelques mois, l’association en devenir a réuni plus de 200 adhérents, habitants de Chartreuse et d’ailleurs. Chacun a apporté ses compétences, son savoir-faire ou tout simplement son énergie : l’ancien garagiste du village s’est porté volontaire pour réparer la dameuse, les anciens salariés de la station sont venus donner des conseils, de nombreux bénévoles se sont formés aux remontées mécaniques. « Cela a rassuré le SRMTG [le Service technique des remontées mécaniques et des transports guidés, qui donne les autorisations d’exploiter le matériel] et les assurances de voir que l’on avait tout ce qu’il fallait pour que tout fonctionne bien », souligne Pascual.
    Un modèle associatif qui essaime

    Face à un enneigement toujours plus aléatoire — la plupart des stations de ski sont situées à un peu plus de 1 000 mètres, et la plus haute à 1 300 mètres d’altitude — et des équations financières impossibles à tenir pour les communes lorsque les gestionnaires privés ont déserté, le modèle associatif s’impose progressivement dans le massif de la Chartreuse. La flexibilité financière et organisationnelle que permet le modèle associatif a déjà séduit la moitié des huit stations de Chartreuse. « On ne s’appelle pas Ag’hil pour rien », souligne Perrine, malicieuse. « Si demain il neige, on envoie un mail aux bénévoles et on est prêt à ouvrir ! »

    La station voisine du Planolet, située à 1 100 mètres d’altitude au cœur du massif, a pu ouvrir quelques jours début janvier. Là aussi, Nouvelles traces en Chartreuse, la toute nouvelle association qui s’occupe depuis cette année des remontées mécaniques, a fédéré habitants et sympathisants de la station, après une saison 2022-2023 gérée de manière spontanée par un collectif d’habitants. Loueur à la retraite, restaurateur de la station, ancien pisteur… « Toutes des personnes qui ont envie de sauver la station », résume Yann Daniel, directeur de l’école de ski de Saint-Pierre-de-Chartreuse et membre de l’association.

    Tout au nord du massif de la Chartreuse, l’association Les skieurs du Granier, qui regroupe 115 bénévoles, gère depuis 2019 le domaine de ski du même nom, après avoir bénéficié d’une délégation de service public de la Communauté de communes Cœur de Chartreuse. « La station n’était pas viable économiquement, c’est pour ça qu’on a créé une association », raconte Violaine Rey, bénévole depuis les débuts. « On s’est aussi rendu compte que c’était un argument auprès des gens qui viennent dans la station, ils apprécient la convivialité qui découle du modèle associatif : tout le monde se connnait et la station est à taille humaine. »
    Penser « l’après-ski »

    Cette année, l’enneigement catastrophique contrarie quelque peu ces élans tout neufs. « C’est la première année “blanche” depuis qu’on a repris la station avec l’association », se désole Violaine Rey. « On savait que ça n’allait pas durer cinquante ans, mais ça fait bizarre de voir que ça y est, c’est sûrement la fin d’une ère », regrette la jeune femme qui a appris à skier dans la station et y a même été saisonnière. La suite ? « Elle est assez floue, on réfléchira à tête froide », concède Violaine Rey. « Il y aura évidemment des questions à se poser à l’issue de cette non-saison. »

    « C’est un peu la gueule de bois », reconnaissent de leur côté Perrine et Pascual. « On a tellement travaillé, tellement de choses ont été mises en place… On retente l’aventure l’année prochaine ! » Au-delà du ski, les bénévoles sont lucides : comme beaucoup de stations de ski de moyenne montagne, il faudra penser « l’après-ski »... et diversifier le modèle économique. « On réfléchit aux “quatre saisons”, avec la randonnée, les raquettes, le VTT », abonde la maire du #Plateau-des-Petites-Roches Dominique Clouzeau, pour qui l’horizon est clair : « On ne veut pas devenir un village-dortoir. »

    https://reporterre.net/Face-au-manque-de-neige-les-habitants-font-revivre-les-stations-delaisse

    #Saint-Hilaire-du-Touvet #neige #Chartreuse #ski #enneigement #stations_de_ski #montagne #association #Ag’Hil #Planolet #remontées_mécaniques #Les_skieurs_du_Granier #bénévolat #convivialité #moyenne_montagne

  • La Regione Lombardia e il rischio di un nuovo “saccheggio” dei fiumi

    La Giunta Fontana a metà febbraio ha disposto l’estrazione di sabbia e ghiaia dall’alveo di diversi fiumi, tra cui l’#Adda e il #Mera, e torrenti. Con la scusa di rimuovere materiali in eccesso e prevenire esondazioni dà il la a nuove concessioni per cavare. Un errore, denuncia il Centro italiano per la riqualificazione fluviale.

    “Siamo di fronte all’ennesimo episodio di saccheggio dei fiumi: quello approvato da Regione Lombardia è in realtà un ingiustificato programma di ‘disalveo’”, denuncia Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) commentando la delibera con cui la giunta regionale ha approvato, a metà febbraio, a un “programma di regimazione idraulica mediante escavazione di materiali litoidi” per l’anno 2024. “Il susseguirsi di più eventi di piena negli ultimi anni ha determinato la formazione di accumuli significativi di materiale litoide in alveo, tali da rendere necessaria la loro rimozione mediante un Programma di interventi di regimazione idraulica mediante escavazione di materiali litoidi”, si legge nel testo del documento.

    In altre parole, Regione Lombardia rilascerà delle concessioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia dai letti di una dozzina tra torrenti e fiumi, a partire dall’Adda e dal Mera, giustificando questo intervento con la necessità di rimuovere l’eccessiva quantità di materiali che si è depositata in alcuni punti degli alvei a causa degli eventi alluvionali estremi degli ultimi anni.

    Il programma verrà attuato, prosegue la delibera, “mediante il rilascio di concessioni per l’asportazione del materiale eccedente secondo un progetto definitivo/esecutivo, approvato dall’Ufficio Territoriale Regionale competente per la gestione del corso d’acqua”. Tra quelli in elenco figurano appunto corsi d’acqua importanti come l’Adda (dove sono previsti nove interventi, l’#Oglio e il Mera (cinque gli interventi previsti); ma anche torrenti come il #Federia nel Comune di #Livigno, il #Mallero a #Chiesa_Valmalenco in provincia di #Sondrio o il #Tidone in provincia di Pavia e il torrente #Re in #Valle_Sabbia (BS).

    “La motivazione indicata da Regione Lombardia è la riduzione del rischio di possibili esondazioni a causa degli accumuli di sedimenti -spiega ad Altreconomia Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) -. Tuttavia, né la delibera né i suoi allegati contengono dati, risultati di modellazioni o alcuna valutazione che giustifichino la necessità di questo tipo di intervento per ridurre il rischio. Anche le immagini contenute nei documenti mostrano perlopiù normali forme e processi fluviali”.

    Interventi di questo tipo, che si limitano ad estrarre materiali dagli alvei, continua Goltara, risultano ancora più anacronistici se si pensa che dal 2015 è entrato in vigore per le Autorità di bacino distrettuali e le Regioni l’obbligo di elaborare i #Programmi_di_gestione_dei_sedimenti (#Pgs): strumenti conoscitivi, gestionale e di gestione dei sedimenti relativi all’assetto morfologico dei corsi d’acqua finalizzati a mitigare il rischio alluvioni, oltre che a tutelare e migliorare lo stato morfologico ed ecologico dei corsi d’acqua.

    “Non dovrebbe più essere possibile realizzare estesi interventi di questo tipo, in assenza di dimostrate situazioni di emergenza e senza un piano che definisca per ogni corso d’acqua stato di fatto, obiettivi e azioni conseguenti, come previsto dal Pgs”, sottolinea il direttore del Cirf. Anche l’obbligo di intervenire per ridurre i rischi, previsto dalla Direttiva alluvioni dell’Unione europea, non chiede di “regimare” i corsi d’acqua. “Non siamo più negli anni Sessanta -conclude-. Inoltre, è importante ricordare che la Lombardia, in ottemperanza con quanto previsto dalla Direttiva acque, è tra le poche ad aver realizzato una classificazione idro-morfologica dei propri fiumi e torrenti. Viene da chiedersi se e come vengano utilizzate queste informazioni”.

    https://altreconomia.it/la-regione-lombardia-e-il-rischio-di-un-nuovo-saccheggio-dei-fiumi

    #Italie #Lombardie #rivières #sable #extractivisme

  • Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

  • Comment l’UE a fermé les yeux sur le refoulement illégal de migrants par la #Bulgarie avant son adhésion à Schengen

    Des documents internes de Frontex révèlent des violations répétées. Malgré des alertes répétées, la Commission européenne salue les « résultats excellents » de la Bulgarie, qui s’apprête à rejoindre l’espace Schengen.

    Au printemps 2022, Ali, un Syrien de 16 ans, entre dans un centre d’accueil à Sofia (Bulgarie) pour demander une protection au titre de l’asile et un regroupement familial avec sa mère et ses cinq autres frères et sœurs, restés en Syrie et au Liban.

    Mais les choses ne se passent pas comme prévu. Au lieu de voir sa demande traitée, il est emmené dans un endroit qui, dit-il, « ressemble à une prison ». Pendant la nuit, comme une cinquantaine d’autres personnes, il est embarqué dans une voiture de la police des frontières et reconduit jusqu’à la frontière turque, à 300 kilomètres de là, sans recevoir la moindre information sur ses droits à l’asile.

    « Ils nous ont fait marcher jusqu’à une #clôture équipée de caméras. Après avoir franchi la clôture, il y avait comme un canal. En même temps, ils frappaient les gens, se remémore le garçon. Ils ont tout pris et m’ont frappé dans le dos, sur la tête. Après cela, ils m’ont jeté dans le canal. » Le groupe est invité à retourner en #Turquie et ne jamais revenir.

    Les refoulements, une « pratique courante »

    Les témoignages de refoulements (ou pushbacks, en anglais) comme celui d’Ali sont généralement réfutés par le gouvernement bulgare. Mais de nombreux abus ont été documentés par l’organe de surveillance des droits humains de Frontex au cours des dix-huit derniers mois, selon une série de documents internes de l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes consultés par le réseau Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) et publiés par Le Monde. Ces documents, obtenus grâce aux lois de transparence européennes, décrivent avec force détails des #brutalités commises par des agents bulgares participant aux opérations de Frontex : coups de bâton, #déshabillage de force, #vols d’effets personnels, #agressions verbales et #blessures graves infligées par des chiens, etc.

    Les documents montrent également que les preuves étayant ces pratiques illégales ont été dissimulées non seulement par les autorités bulgares, mais aussi par les hauts fonctionnaires de Frontex et de la Commission européenne. Dans le même temps, l’exécutif européen saluait les « excellents » progrès réalisés par la Bulgarie en matière de #gestion_des_frontières, facilitant l’adhésion du pays à l’espace Schengen – les contrôles aux frontières aériennes et maritimes seront levés le 31 mars, tandis que les contrôles terrestres restent en place pour l’instant.

    Les organisations non gouvernementales (ONG) de défense des droits humains locales et internationales alertent depuis de nombreuses années sur les refoulements violents en Bulgarie. Selon des données compilées par le Comité Helsinki de Bulgarie, 5 268 refoulements, touchant 87 647 personnes, auraient eu lieu au cours de la seule année 2022.

    Plusieurs experts affirment que la plupart des 325 000 entrées de migrants que le gouvernement bulgare revendique avoir « empêchées » depuis 2022 sont en fait des refoulements illégaux. « Ces personnes ont été interceptées à l’intérieur du pays. Nous ne parlons donc pas d’entrées empêchées, mais de retours », explique Iliyana Savova, directrice du programme pour les réfugiés et les migrants du Comité Helsinki de Bulgarie. « C’est un secret de Polichinelle que les gens sont repoussés. De tels ordres existent », admet, sous le couvert de l’anonymat, un haut fonctionnaire du gouvernement bulgare.

    Les preuves s’accumulent tellement que le Bureau des droits fondamentaux de Frontex (FRO) considère « établi » que les refoulements, « impliquant souvent des niveaux élevés de #violence et d’autres #traitements_inhumains_ou_dégradants », sont « une pratique régulière de la police des frontières bulgare », selon un bilan des « rapports d’incidents graves » couvrant la période 2022-2023 obtenu dans le cadre de cette enquête.

    Un lanceur d’alerte en mission discrète

    Pour l’Union européenne (UE), la situation est d’autant plus problématique que son agence des frontières collabore directement sur le terrain avec les forces de sécurité bulgares. Depuis 2022, dans le cadre de l’opération conjointe #Terra, Frontex a déployé des équipes de #gardes-frontières, des véhicules de patrouille et des #caméras_de_thermovision pour aider les autorités bulgares dans leurs activités de #surveillance aux frontières turque et serbe.

    En août 2022, un #rapport inquiétant atterrit sur le bureau de Jonas Grimheden, le chef du FRO. Il émane d’un agent de Frontex qui a mené une enquête de sa propre initiative lors d’un déploiement de six mois à la frontière avec la Turquie. Il révèle que les agents de Frontex sont tenus intentionnellement à l’écart des zones où les migrants sont généralement appréhendés et repoussés. « Lorsque des situations se produisent, le collègue local reçoit les indications pour déplacer l’équipe Frontex, en évitant certaines zones, note le lanceur d’alerte. Ils ont pour instruction d’empêcher Frontex de voir quoi que ce soit, pour éviter qu’ils rédigent un rapport officiel. »

    Pour l’eurodéputée écologiste Tineke Strik, cheffe de file d’un groupe d’eurodéputés chargé de surveiller Frontex, ces conclusions soulèvent de sérieux doutes quant à la capacité de l’agence à garantir le respect des droits humains dans le cadre de ses activités : « Il est étonnant qu’une agence de l’UE soit toujours incapable de faire respecter le droit européen après tant d’enquêtes institutionnelles, de rapports, de recommandations et d’avertissements. »

    Dans les mois qui suivent le rapport du lanceur d’alerte, Jonas Grimheden fait part de ses préoccupations croissantes concernant la conduite des agents frontaliers bulgares aux échelons supérieurs de Frontex, dont le siège se trouve à Varsovie.

    L’agence s’attache alors à restaurer sa réputation, ternie par la révélation de sa complicité dans les refoulements illégaux de migrants en Grèce. En avril 2022, son directeur, Fabrice Leggeri – qui vient de rallier le Rassemblement national en vue des élections européennes –, a été contraint de démissionner après avoir été reconnu coupable par l’Office européen de lutte antifraude d’avoir dissimulé des refoulements de bateaux de migrants en mer Egée.

    Aija Kalnaja, qui lui a succédé à la direction de Frontex pour un court intérim, semble prendre les avertissements du FRO au sérieux. En février 2023, elle exprime de « vives inquiétudes » dans une lettre adressée à Rositsa Dimitrova, alors cheffe de la direction des frontières bulgare, recommandant aux autorités du pays d’accorder au corps permanent de l’agence l’accès aux « contrôles de première ligne et aux activités de surveillance des frontières ».

    Dans sa réponse, #Rositsa_Dimitrova assure que « le respect des droits fondamentaux des ressortissants de pays tiers est une priorité absolue ». Disposée à organiser des séances d’information et des formations à l’intention de ses gardes-frontières, la responsable bulgare explique que chaque violation présumée des droits est examinée par une commission constituée par ses soins. Insuffisant, pour le FRO, qui préférerait un contrôle rigoureux par un « organisme indépendant opérant en dehors de la structure institutionnelle du ministère de l’intérieur bulgare ». Cinq agents ont été sanctionnés pour avoir violé leur code de conduite éthique au cours des dix premiers mois de 2023, précise aujourd’hui le ministère de l’intérieur bulgare.

    Une lettre jamais envoyée

    Au début de 2023, le Néerlandais Hans Leijtens est nommé à la tête de Frontex. On peut alors s’attendre à ce que ce nouveau directeur, engagé publiquement en faveur de la « responsabilité, du respect des droits fondamentaux et de la transparence », adopte une position ferme à l’égard des autorités bulgares. « Ce sont des pratiques du passé », déclare-t-il après sa nomination, en référence aux antécédents de Frontex en matière d’aide aux refoulements en Grèce.

    Soucieux de saisir l’occasion, Jonas Grimheden, à la tête du FRO, lui écrit deux jours après sa prise de fonctions, en mars 2023. Le courriel contient un projet de lettre « que vous pouvez envisager d’envoyer, en tout ou en partie », à Rositsa Dimitrova. La lettre rappelle les « allégations persistantes de retours irréguliers (appelés “refoulements”), accompagnées de graves allégations de #mauvais_traitements et d’#usage_excessif_de_la_force par la police nationale des frontières à l’encontre des migrants » et demande des enquêtes indépendantes sur les violations des droits. Ce brouillon de lettre n’a jamais quitté la boîte de réception d’Hans Leijtens.

    Quelques semaines plus tard, en mars 2023, le #FRO envoie un rapport officiel au conseil d’administration de Frontex, évoquant le « risque que l’agence soit indirectement impliquée dans des violations des droits fondamentaux sans avoir la possibilité de recueillir toutes les informations pertinentes et d’empêcher ces violations de se produire ».

    M. Leijtens a-t-il fait part aux autorités bulgares des conclusions du FRO ? Sollicité, le service de presse de Frontex explique que « les discussions directes ont été jugées plus efficaces », sans pouvoir divulguer « les détails spécifiques des discussions ».

    Une contrepartie pour Schengen ?

    Alors que ce bras de fer se joue en coulisses, sur la scène politique, la Bulgarie est érigée en élève modèle pour le programme de contrôle des migrations de la Commission européenne, et récompensée pour le durcissement de ses #contrôles_frontaliers, en contrepartie de l’avancement de sa candidature à l’entrée dans l’espace Schengen.

    En mars 2023, la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, annonce un #projet_pilote visant à « prévenir les arrivées irrégulières » et à « renforcer la gestion des frontières et des migrations », notamment par le biais de « #procédures_d’asile_accélérées » et d’#expulsions_rapides des migrants indésirables. La Commission sélectionne deux pays « volontaires » : la #Roumanie et la Bulgarie.

    Pour mettre en œuvre le projet, la Commission accorde à la Bulgarie 69,5 millions d’euros de #fonds_européens, principalement destinés à la surveillance de sa frontière avec la Turquie. « Toutes les activités menées dans le cadre de ce projet pilote doivent l’être dans le plein respect de la législation de l’UE et des droits fondamentaux, en particulier du principe de non-refoulement », précise d’emblée la Commission.

    Pourtant, à ce moment-là, l’exécutif bruxellois est parfaitement conscient de la situation désastreuse des droits humains sur le terrain. Deux mois avant le lancement du projet, en janvier 2023, deux hauts fonctionnaires de la direction des affaires intérieures (DG Home) ont rencontré à Stockholm la patronne des gardes-frontières bulgares « pour discuter des préoccupations du FRO concernant les allégations de #violations_des_droits_fondamentaux », révèle un compte rendu de la réunion.

    Au fil de l’avancement du projet pilote, les signaux d’alerte se multiplient. En septembre 2023, Jonas Grimheden alerte une nouvelle fois le conseil d’administration de Frontex sur des « allégations répétées de (…) refoulements et d’usage excessif de la force » par les agents bulgares. Si son rapport salue la participation des agents de Frontex aux « activités de patrouille terrestre de première ligne », il rappelle que ces derniers « continuent d’être impliqués dans un nombre limité d’interceptions » de migrants.

    Au cours du projet, deux documents sur les « droits fondamentaux » aux frontières extérieures de la Bulgarie ont circulé au sein de la DG Home. La Commission européenne a refusé de les communiquer au BIRN, arguant que leur divulgation mettrait en péril la « confiance mutuelle » avec le gouvernement bulgare.

    « Les résultats sont excellents »

    La participation de la Bulgarie au projet pilote de la Commission semble avoir joué un rôle crucial pour faire avancer son projet de rejoindre Schengen – un objectif prioritaire depuis plus d’une décennie. Il coïncide en tout cas avec un changement de ton très net du côté de Bruxelles et Varsovie, qui ont dès lors largement balayé les inquiétudes concernant les mauvais traitements infligés à grande échelle aux migrants.

    « Les résultats sont excellents », annonce Ylva Johansson lors d’une conférence de presse en octobre 2023. La commissaire européenne aux affaires intérieures, chargée des migrations, salue les efforts déployés par la Bulgarie pour empêcher les migrants « irréguliers » d’entrer sur le territoire de l’UE, appelant à prendre la « décision absolument nécessaire » d’admettre la Bulgarie dans l’espace Schengen. Cette décision est alors bloquée depuis des mois par les Pays-Bas et l’Autriche, qui exigent des contrôles plus stricts à la frontière terrestre avec la Turquie. Quelques semaines auparavant, Ursula von der Leyen avait salué la Bulgarie, qui « montre la voie à suivre en mettant en avant les meilleures pratiques en matière d’asile et de retour ». « Faisons-les enfin entrer, sans plus attendre », avait réclamé la présidente de la Commission.

    Selon Diana Radoslavova, directrice du Centre pour le soutien juridique, une ONG sise à Sofia, la fermeture effective de la frontière avec la Turquie est indispensable à l’entrée de la Bulgarie dans l’espace Schengen. « [Les autorités] sont prêtes à tout pour respecter cette injonction, y compris au prix de violations extrêmes des droits de l’homme », estime l’avocate. « Tant que la Bulgarie coopère en bonne intelligence avec la protection des frontières et la mise en œuvre du projet pilote, la Commission regarde ailleurs », ajoute l’eurodéputée Tineke Strik.

    Pour défendre la candidature de Sofia à l’espace Schengen, la Commission européenne s’est appuyée sur le rapport d’une mission d’enquête rassemblant les experts de plusieurs agences de l’UE et des Etats membres, dépêchés en novembre 2023 en Bulgarie pour évaluer son état de préparation à l’adhésion. La mission n’aurait trouvé aucune preuve de violation des obligations en matière de droits humains prévues par les règles européennes, y compris en ce qui concerne « le respect du principe de non-refoulement et l’accès à la protection internationale ».

    Ce rapport n’a pas dissipé les inquiétudes de Jonas Grimheden, qui affirme que ses services font encore « régulièrement » part de leurs « préoccupations » au conseil d’administration de Frontex, « auquel participe la Commission européenne ».
    Cette enquête a été produite en collaboration avec le réseau Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), qui a reçu un soutien financier de la Fondation Heinrich-Böll. Son contenu relève de la seule responsabilité des auteurs et ne représente pas les points de vue et les opinions de la fondation.

    La réponse de Frontex et de la Commission européenne

    Un porte-parole de Frontex déclare que l’agence prend « très au sérieux » les « préoccupations concernant les refoulements ». « Dans les cas où des violations sont signalées, la question est transmise au directeur exécutif et, si nécessaire, discutée lors des réunions du conseil d’administration avec des représentants des Etats membres. Toutefois, ces discussions ne sont pas publiques, conformément à notre politique de confidentialité visant à garantir un dialogue franc et efficace. »

    Dans une réponse écrite, la Commission européenne rappelle « l’importance de maintenir des éléments de contrôle solides tout en renforçant les actions de suivi et d’enquête ». « Les autorités bulgares, comme celles de tous les Etats membres de l’UE, doivent respecter pleinement les obligations découlant du droit d’asile et du droit international, notamment en garantissant l’accès à la procédure d’asile », explique un porte-parole.

    L’institution précise qu’« il a été convenu de renforcer davantage le mécanisme national indépendant existant pour contrôler le respect des droits fondamentaux », mais qu’« il est de la responsabilité des Etats membres d’enquêter sur toute allégation d’actes répréhensibles ».

    Le Médiateur européen enquête actuellement sur la décision de la Commission de refuser la communication aux journalistes de BIRN de deux documents de la DG Home sur les « droits fondamentaux » aux frontières extérieures de la Bulgarie. Dans l’attente de l’enquête, la Commission a refusé de dire si ces documents avaient été pris en considération lorsqu’elle a émis des évaluations positives du programme pilote et de la conformité de la Bulgarie avec les règles de Schengen.

    https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2024/02/26/comment-l-ue-a-ferme-les-yeux-sur-le-refoulement-illegal-de-migrants-par-la-

    #refoulements #push-backs #migrations #réfugiés #frontières #opération_Terra